Innovazione

Gli storici mattoncini restano protagonisti del mercato in barba all'evoluzione tecnologica. Merito della capacità di innovare.

I pazienti lettori scuseranno l’estensore di questa nota se oggi l’argomento sembra lontanissimo dall’era digitale e affondato nell’analogico che più vintage non si può: le costruzioni Lego. I mattoncini danesi di plastica - ormai l’azienda di giocattoli più redditizia del pianeta, anzi della galassia, dopo avere superato Mattel e Hasbro - sono oggi protagonisti dell’entertainment in epoca digitale.

Hanno negozi bellissimi, come quello del Rockefeller Center a Nyce aprono nel mondo parchi a tema, i “Legoland”: a Billund, ovviamente in Danimarca, in Baviera (Gunzburg), Gran Bretagna (Windsor), Malesia (ma proprio davanti a Singapore), uno in Florida e uno in California, in competizione con quelli della tedesca Playmobil. Ad essi ho dedicato un capitolo del mio recente “Entertainment” edito dal Mulino: YouTube è pieno di “sacre rappresentazioni” fatte con il Lego, la bandiera di Iwo Jima, scene della Bibblia oltre a un canale di video Lego. Sugli schermi c’è adesso The Lego Movie e il cerchio sembra chiudersi, ma c’è molto di più. Tutto comincia nel 1999, quando, grazie al licensing, Lego introdusse le icone di Darth Vader e Batman.

Il più grande innovatore della storia è stato Thomas Alva Edison, inventore della lampadina; segue Steve Jobs, numero uno dell’informatica; terzo Alexander Bell, noto per aver rubato l’idea del telefono ad Antonio Meucci. Lo rivela una ricerca del Mit pubblicata un paio di settimane fa. Se non vogliamo crogiolarci nella sindrome di Meucci (la malattia di chi dice che noi siamo bravi, ma ci rubano le idee), per uscire dalla classifica europea degli innovatori moderati e sbarcare nell’Olimpo dei leader innovativi, dobbiamo darci una mossa. Soprattutto chiarendo che cosa significa innovazione. Innovare si può anche senza nuove tecnologie. Non è solo una questione di hardware e software. L'innovazione è anche sociale, organizzativa, relazionale, finanziaria. Le tecnologie aiutano ma non sono tutto. Come rilevano i parametri del rapporto sul Quadro di valutazione dell'Europa dell'Innovazione 2014, ciò che conta sono le persone, la qualità del capitale umano e un ambiente fecondo. Negli studi sui maggiori gruppi creativi, molti italiani, oltre alla qualità dei talenti, un ruolo determinante è il gruppo, fare squadra.

Poco meno di 200 milioni di tablet, 195 milioni per la precisione, che segnano un incremento a volumi del 68% rispetto al 2012. E che, soprattutto, sanciscono il sorpasso ampiamente annunciato delle tavolette Android ai danni dell'iPad di Apple. Il consolidato dei numeri redatto da Gartner premia il sistema operativo mobile di Google con il 62% del mercato globale e un salto in avanti del 127% anno su anno; a iOs va invece una fetta del 36% e rispetto all'anno precedente il salto indietro percentuale è del 16,8%. La quota rimanente va sostanzialmente a Microsoft e ai suoi tablet Surface, che catturano circa il 2% del totale del venduto.

Tre chiavi di lettura 
Android, questo il primo e banale commento ai numeri di cui sopra, si conferma quindi la piattaforma di riferimento in campo mobile, facendo leva su una market share che negli smartphone è nell'ordine dell'80%. Nell'economia del settore tablet, che avvicina ulteriormente in quantità quello dei tradizionali personal computer (316 milioni i pc spediti nel 2013) e segna un'incidenza del 90% nel comparto degli apparecchi ultramobili), il ruolo giocato da Apple rimane per contro di sostanza, in considerazione degli oltre 70 milioni di iPad (nei diversi modelli) venduti negli ultimi dodici mesi. 

Si presenta come una semplice chiavetta Usb. Di quelle che usiamo ogni giorno per memorizzare documenti, foto e filmati. Ma al suo interno è nascosto un sistema operativo Linux che la trasforma in Pc tascabile. E’Keepod e costa solo 7 dollari (circa 5 euro). Potrebbe diventare lo strumento hitech per sconfiggere il digital divide. Spiega il milanese Francesco Imbesi (33 anni) che assieme all’israeliano Nissan Bahar (35 anni) ha messo a punto la chiavetta: «Siamo partiti un anno fa dopo avere fatto due considerazioni. Primo, cinque miliardi di persone, cioè il 70% della popolazione mondiale non possiede un computer. Secondo, la soluzione proposta da Nicolas Negroponte, si è rivelata inadeguata». 

Il riferimento è al progetto “One Laptop per Child” iniziato nel 2005, con l’obiettivo di realizzare un Pc low cost da 100 dollari. Alla fine ne vennero prodotti quasi 2 milioni di esemplari, ma il prezzo salì a 140 dollari. Troppi per chi deve combattere ogni giorno per la sopravvivenza. «Così nel giro di pochi mesi ha visto la luce Keepod». Noi l’abbiamo provata in anteprima, con risultati più che soddisfacenti.