Notiziario tematico

Si chiude oggi a Trieste la quarta edizione della conferenza internazionale State Of The Net, nata per fare il punto sul mondo digitale e immaginarne possibili evoluzioni.

Creatività, apprendimento, intelligenza, condivisione, cambiamento: sono queste le parole, ma soprattutto i concetti principali emersi dalle prime intense giornate di State of the Net a Trieste. Quella che si chiude oggi è la quarta edizione della conferenza internazionale nata per fare il punto sul presente della Rete, e ancor più sul suo futuro. 

SMART - E allora bisogna partire proprio dal termine smart, che ormai ricopre come una specie invasiva ogni discorso tecnologico e che rischia però di rimanere vuoto e indistinto. Che cosa sono le reti, gli apparecchi, le città “intelligenti”? A riflettere su questo concetto ci ha pensato Luca De Biase, giornalista e innovatore, che ha ricordato come il termine abbia cominciato a diventare di tendenza con la campagna presidenziale di Obama nel 2008, per poi rinsecchirsi sotto forma di passe-partout delle pubbliche relazioni, fino ad arrivare all’aberrazione delle armi intelligenti. Ma che cos’è l’intelligenza applicata alla macchine? Forse qualcosa di molto più prosaico e utile dei discorsi sull’intelligenza artificiale, qualcosa che tenga conto della nostra crescente scarsità di tempo e della contemporanea dilatazione degli spazi, una soluzione digitale che ci aiuti a vivere in un mondo con simile coordinate. Anche in una chiave di sostenibilità ambientale. “Perché una cosa digitale è smart, se migliora condizioni della vita analogica; o l’accesso alla conoscenza. Se facilita l’innovazione senza che chi la propone debba chiedere il permesso, come garantisce oggi la net neutrality. Se aiuta la collaborazione in un contesto civico”, ha spiegato De Biase. 

In giro per il mondo ci sono grandi disponibilità finanziarie in cerca di un'allocazione efficiente, e altrettanto enormi bisogni sociali, moltiplicati da una crisi che negli ultimi sei anni ha messo alle corde, insieme alle economie globalizzate, anche il concetto stesso di welfare. Far incontrare i due mondi - la ricchezza finanziaria e i bisogni sociali - può aprire scenari fin qui impensabili allo sviluppo, in particolare nell'interesse delle giovani generazioni. Certo, servirebbero un capitalismo meno arrogante ed aggressivo, così come un settore non profit meno pavido e autoreferenziale.

Ma serve, prima ancora di questi fondamentali passaggi culturali, un hub di intermediazione in grado di far convergere le energie positive degli attori sociali, dallo Stato alle imprese, dalle associazioni alle fondazioni e alle università, intorno a obiettivi che abbiano al denominatore il bene comune.
Un hub del genere, in Italia, ancora non si vede, ma il Forum sull'economia positiva, in corso da ieri presso la comunità di San Patrignano e atteso oggi alla giornata conclusiva, gli assomiglia molto. Nelle ambizioni, infatti, mira a rispondere specificamente a questa missione: mettere in campo un capitale bridging, in grado di costruire ponti tra mondi diversi, ma fatalmente attratti alla collaborazione.

Enit, Istat, Agenzia delle Entrate, Agenzia del demanio, Agenzia dei beni confiscati e Consob. È una raffica di nomine quella annunciata ieri sera dal presidente del Consiglio. Se si esclude l’Anac, Agenzia nazionale anticorruzione, si tratta di sette poltrone, tra cui anche quella di ambasciatore d’Italia alla Nato. Di queste, tre vengono affidate alle donne.
Rossella Orlandi è il nuovo direttore dell’Agenzia per le Entrate e prenderà il posto di Attilio Befera. Anna Genovese occuperà il ruolo vacante di commissario della Consob. Al vertice dell’Istat Giorgio Alleva succede all’ex ministro del Lavoro del governo Letta, Enrico Giovannini. All’Enit, l’agenzia nazionale per il turismo, arriva Cristiano Radaelli, mentre Stefano Scalera mantiene la guida dell’Agenzia del demanio. Umberto Postiglione è stato nominato all’Agenzia dei beni confiscati. Per finire, Mariangela Zappia, classe 1959, arriva alla rappresentanza presso l’Alleanza atlantica a Bruxelles, al posto di Gabriele Checchia, che passa all’Ocse a Parigi.

Lirica e classica: un mondo «macho». Marginale, quasi nulla la presenza femminile ai vertici delle istituzioni operistiche e sinfoniche italiane (solo il 3,9%). E anche sul versante artistico non va meglio. Le donne in orchestra restano una minoranza, come registe o scenografe, per non parlare delle compositrici, vera rarità in un panorama tutto al maschile. A fotografare questa realtà imbarazzante è l’inchiesta sul numero di Classic Voice , da ieri in edicola.I dati che emergono sono sconfortanti: nelle 14 fondazioni liriche italiane troviamo solo una donna sovrintendente, Rosanna Purchia al San Carlo di Napoli, peraltro affiancata da un commissario straordinario. A cui si aggiungono Maria Di Freda, direttore generale della Scala di Stéphane Lissner, e Sabrina Cuccu, direttore degli allestimenti scenici al Lirico di Cagliari. Totale, il 3% degli enti lirici. E nessuna compare negli elenchi dei direttori artistici, dei direttori musicale o del coro.