Notiziario tematico

Si candida a essere la più grande esperienza di lavoro agile in Italia. Oltre tremila dipendenti (3.100 per la precisione) con la possibilità di lavorare dal salotto. O da qualunque altro posto: l’appartamento della suocera, il parco davanti alla scuola, la casa di vacanza.

Parliamo del progetto appena varato da Vodafone Italia. L’azienda dà lavoro a settemila persone distribuite su otto sedi. Di queste, poco meno di 4.000 svolgono mansioni che non possono prescindere dalla presenza in un ufficio o in un centro assistenza clienti. Ma per tutti gli altri il lavoro agile oggi è una realtà.

«Ad aprile siamo partiti con la possibilità di lavorare da fuori ufficio due giorni al mese. A settembre faremo una verifica e valuteremo i risultati. Su quella base potremmo decidere anche di aumentare il numero di giornate in cui il luogo di lavoro è scelto dal dipendente», racconta Elisabetta Caldera, direttore risorse umane e organizzazione di Vodafone Italia. «Ci stiamo lavorando da diversi anni, inizialmente con progetti pilota. Poi ad aprile è arrivato il salto di qualità — continua Caldera —. Anche la nostra sede di Milano che ospita la maggior parte dei dipendenti è già stata pensata per lo smartworking, con spazi di lavoro connessi e condivisi. Siamo convinti in questo modo di poter raggiungere due risultati: un aumento della produttività del lavoro e migliori opportunità di conciliazione famiglia-lavoro per i dipendenti».

Continua a leggere su: La 27ma Ora - Rita Querzè

Il progetto fUNDER35 – il fondo per l’impresa culturale giovanile, nato da un’idea della Commissione per le Attività e i Beni Culturali dell’Acri, mira ad accompagnare le imprese culturali giovanili nell’acquisizione di modelli gestionali e di produzione tali da garantirne unmigliore posizionamento sul mercato e una maggiore efficienza e sostenibilità. Si tratta di un’iniziativa sperimentale attorno alla quale hanno stabilito di concentrare le proprie risorse ben 10 fondazioni (Fondazione Cariplo, che si è assunta il ruolo di ente capofila,Fondazione Banco di Sardegna, Fondazione Cariparma, Fondazione Livorno, Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo,Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna). L’impegno delle fondazioni è motivato dalla diffusa fragilità delle imprese culturali giovanili - aggravata dall’attuale crisi del bilancio pubblico - che si associa, peraltro, a una scarsa frequentazione dei cosiddetti “luoghi di cultura” da parte delle giovani generazioni.


GLI OBIETTIVI 

Le fondazioni hanno attivato il progetto fUNDER35 con l’obiettivo di rendere più solide e stabili le migliori imprese culturali giovanili. Si ritiene che queste imprese, rafforzate sul piano organizzativo e gestionale e grazie a una proposta artistico-culturale innovativa e di qualità, potrebbero stare più facilmente sul mercato (entrando tra l’altro più agevolmente in contatto con il pubblico giovane).

Startupper under 18. Si sono sfidati in BIZ Factory, all'interno del programma "Impresa in azione". Il presidente della giuria ci racconta perché è importante cominciare a scuola e quale sarà il progetto che, alla competizione europea di luglio a Tallin, rappresenterà l'Italia. Che ha ancora molto da fare sul fronte dell'educazione imprenditoriale.

Si è tenuta il 5 e 6 giugno scorsi presso il Vodafone Village di Milano BIZ Factory, la competizione che da undici anni premia l’intraprendenza e lo spirito innovativo degli studenti delle scuole superiori italiane, ideata da Junior Achievement. Stefano Mainetti, consigliere delegato di Polihub che ha presieduto la giuria scelta per valutare le classi in gara, racconta questa esperienza.

20 agguerriti team di aspiranti imprenditori provenienti da tutta Italia hanno animato per due giornate l’headquarter italiano di Vodafone con i loro stand e i loro elevator pitch. Fin qui, per uno come me che vive le sue giornate tra startupper o aspiranti tali, tutto potrebbe sembrare normale. Se non che questi team erano composti da ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni. Proprio così: siamo abituati, ormai, alle startup nate negli ambiti universitari, ma nelle scuole superiori proprio no!

Il Leone d’oro della XIV Biennale di Architettura è andato a un non architetto. Lo ha ritirato ieri a Venezia la canadese Phyllis Lambert, per gli amici la Joan of Architecture (una specie di Giovanna d’Arco dell’architettettura), 87enne milionaria di Montreal dalla vita stravagante e dalla passione per l’architettura.

Filantropa, promosse con il padre la costruzione di un’icona del XX secolo, il Seagram Building a New York (375 Park Avenue), capolavoro del Funzionalismo. Il padre, Samuel Bronfman (lei ha preso il nome del marito) era un industriale di liquori che si avvantaggiò con il Proibizionismo. Per costruire il grattacielo di famiglia, l’ereditiera neanche trentenne lasciò Parigi e il marito banchiere (era cugino dei Rothschild) e si mise a cercare architetti. Quelli scelti dal padre non gli andavano affatto bene. Fece colloqui con Pei, Le Corbusier e Wright, ma alla fine scelse l’anziano esule tedesco fuggito dai nazisti Mies van der Rohe, che realizzò l’edificio insieme all’odiato Philip Johnson, il guru dell’International style. Anche nel suo recente libro, Building Seagram, la Lambert parla di Johnson come di un «genio dell’autopromozione». E, forse, non a torto.