Politiche di genere

Cuoca, autista, insegnante, psicologa, contabile, manager, addetta alle pulizie, operaia, lavandaia, babysitter. Dieci professioni in un corpo solo ma, ufficialmente, un nonlavoro: casalinga. Stipendio effettivo? Zero euro. Retribuzione teorica ai prezzi di mercato? Quasi 7mila euro al mese. Circa 83 mila euro l’anno. Non una cifra a caso, ma il risultato di un preciso algoritmo — calcolato da una ricerca del sito americano Salary. com che monetizza la rivincita delle desperate housewives.

Oggi l’emblema delle ristrettezze economiche sono le donne: lavorano ma guadagnano troppo poco. Si tratta di un vero e proprio esercito di working poors sempre in affanno e a un passo dal baratro, tra paghe bassissime, pochi diritti e a ancor meno welfare.
Come mai tante donne rivelano una così elevata vulnerabilità economica?
Negli Usa sono molte le donne che si trovano a fronteggiare la povertà e ciò è dovuto principalmente a 3 motivi:

Sei università milanesi, Bicocca, Statale, Politecnico, Iulm, San Raffaele e Bocconi hanno creato il Centro interuniversitario in culture di genere, un polo «di riferimento accademico» ma anche «per il territorio, per Milano e la regione» spiega Carmen Leccardi, direttrice scientifica del centro, sociologa, presidente dell’European Sociological Association e già fondatrice del centro ABCD dell’Università Bicocca.

Il governo dell’Iraq si sta occupando della stesura di una legge sugli appalti pubblici che offre incentivi specifici per le donne. Si prevede infatti che le donne irachene siano assunte dal governo e possano partecipare attivamente a livello economico.