E se nel job act, il premier Mattero Renzi rottamasse anche un po’ di luoghi comuni sul lavoro e inserisse la proposta di legge sullo smartworking? Solo pochi giorni fa Cristine Lagarde, l’autorevolissima direttora del Fondo Monetario Internazionale, ha rimproverato all’Italia di non fare abbastanza per favorire il lavoro femminile e ha concluso che questa è una delle debolezze della nostra economia. Per dimostrare che non è una posizione idealogica ha ricordato il caso dell’Olanda, dove la diffusione di molte forme di lavoro flessibile consente alle donne (e anche agli uomini)  di non trovarsi di fronte a una scelta difficile tra il lavoro o la famiglia.

Arianna Huffington nel suo libro <Cambiare passo> (che è un po’ il cambiare verso renziano…)  dall’alto della sua strepitosa carriera, dice che la cultura maschile del lavoro è arrivata alla frutta e propone di cambiarla, lavorando meno per lavorare meglio. Lo dice da donna pensando alle donne, ma pensando anche che una rivoluzione dolce sul lavoro farebbe bene sia alle donne che agli uomini. E poi ci sarebbe la Sanberg, la capa di Facebook, che incita le donne a insegnare agli uomini come si fa a lavorare e vivere insieme.

Ma Matteo Renzi non deve andare lontano: per dare un marcia in più alla sua legge sul lavoro basta che resti in casa sua, proprio dentro il suo partito. E prenda la proposta di legge sullo smartworking depositata in Parlamento da Alessia Mosca (insieme alla Tinagli e alla Saltamartini,  due colleghe di partito diverso, tanto perché sia chiaro che la questione è trasversale).  Finirebbe sui giornali di tutto il mondo, una riscossa per il Paese che più ha offeso le donne. E dimostrerebbe che se c’è coraggio tante parole – l’aumento del Pil se aumenta il lavoro femminile, ma anche la necessità di conciliazione – possono diventare fatti concreti.

Fonte: Cinzia Sasso - D di Repubblica