Un modello di sviluppo professionale innovativo che ormai si definisce un “movimento”. Ma di cosa si tratta?

Nel mese di novembre Barcellona ha ospitato la terza edizione della conferenza internazionale Coworking Europe, un’occasione di incontro, confronto e formazione dedicata a tutti coloro che nel mondo gestiscono spazi di coworking. Ma di cosa si tratta esattamente? Opportunità di business, condivisione di spazi, scambio di idee. E persino welfare. Un modello di sviluppo professionale innovativo che ormai si definisce un “movimento”. Perché c’è un’idea imprenditoriale più ampia, dietro a quella che potrebbe sembrare semplicemente la scelta di utilizzare spazi comuni.

Il fenomeno del coworking nasce in Europa nei primi anni ’90 ma si sviluppa nell’arco del decennio successivo soprattutto negli Stati Uniti, per poi “tornare” nel vecchio continente in anni più recenti. Secondo il magazine Deskmag nel 2012 solo in Europa c’erano 878 spazi di coworking. A dimostrazione della diffusione del fenomeno, nel 2013 è nato il network americano Coshare: un’associazione di “luoghi - si legge nella presentazione del network - in cui le persone attraverso la condivisione degli spazi condividono le idee” nata per educare professionisti e aziende, organizzare eventi e workshop, e sensibilizzare gli amministratori locali circa i benefici di questa soluzione organizzativa. C’è poi il Coworking Wiki Project, un portale destinato a raccogliere informazioni utili e best practice aperto ai contributi di tutti i membri della community del coworking.


Coworking è welfare?

Anche la mission del coworking si sta evolvendo: da laboratori “chiusi” e riservati – come gli hackerspace in cui si riunivano appassionati di tecnologia e informatica per lavorare insieme – a spazi il più possibile multidisciplinari in cui aggregare e far comunicare sensibilità diverse in nome della volontà di condividere idee e della ricerca di soluzioni comuni. Come ha dimostrato l’indagine svolta da Clay Spinuzzi su 9 spazi di coworking di Austin, in Texas, ogni struttura si “caratterizza” rispetto alla propria idea di coworking e al target a cui si rivolge. Alcune prediligono uno specifico profilo professionale e tendono ad aggregare persone che lavorano nello stesso campo, mentre altre si ispirano alla definizione di coworking come community work space, enfatizzando il collegamento con la comunità locale. Queste ultime si rivolgono principalmente a mamapreneurs epapapreneurs, genitori che lavorano in maniera indipendente e hanno al tempo stesso oneri di cura della famiglia, e sono strutturate come centri polifunzionali in grado di ospitare una gamma di servizi che comprende asilo, corsi formativi, wellness e palestra.

C’è poi chi sostiene l’utilità del coworking per il rilancio delle aree rurali, quale strumento per lo sviluppo di occupazione, la nascita di servizi sul territorio e il ri-impiego di strutture già esistenti (si veda ad esempio ilcontributo di Jessica Stillman su coworking e rural resourcing). Se il riadattamento di uno spazio preesistente per ospitare professionisti, lavoratori distaccati e piccole imprese costituisce senza dubbio una strategia di rilancio del territorio in termini di occupazione, è probabile che questo favorisca anche la nascita di servizi per i lavoratori. Dalla creazione di imprenditorialità alla “infrastrutturazione sociale” il passo è dunque breve: nuove strutture e servizi potrebbero essere utilizzati dall’intera comunità locale e, sviluppandosi, generare a loro volta nuova occupazione. Senza però pensare troppo “in grande”, cosa può fare il coworking per le esigenze di conciliazione famiglia-lavoro dei suoi iscritti?

Innanzitutto offre un luogo di lavoro con orari flessibili – talvolta anche 24 ore su 24 – ma soprattutto può essere propulsore della nascita di un’offerta di servizi più ampia. E’ il caso dell’americana NextSpace, società di coworking con diverse sedi in tutto il paese che offre ai soci spazi di lavoro aperti tutto il giorno, sale riunioni, strumentazione e materiali, caffetteria, workshop e occasioni di incontro. La nuova sede NextSpace Potrero Hill di San Francisco comprende all’interno della propria offerta la possibilità di usufruire di NextKids, un servizio di asilo nido integrato con spazi dedicati, aperto tutto il giorno e con un’offerta formativa completa per bambini dai 3 ai 36 mesi.

Una cosa è certa, le americane ci sono arrivate: dalle pagine del magazine online Women 2.0 la giornalista Rachel Lehmann-Haupt si chiede perché, tra i tanti spazi di coworking ormai avviati, così pochi abbiano pensato all’utilità di offrire anche un servizio di asilo on-site. Uno “step naturale” – sostiene la Lehmann-Haupt – per il crescente numero di lavoratori freelance. Una sfida raccolta da due donne, Jessie Rymph e Marnee Chua, che insieme hanno fondato a Seattle Ellie’s Coworking and Childcare, una struttura di coworking e servizi per l’infanzia che inizierà a operare il prossimo anno. Il nome Ellie è un tributo a Eleanor Roosevelt, che durante la Seconda Guerra Mondiale sostenne l’apertura del primo asilo in fabbrica per le americane che sostituivano i mariti alla catena di montaggio.


Coworking all’italiana

Anche da noi qualcosa si muove: si inizia a parlare di coworking, e nascono i primi spazi. Il progetto Cowo, iniziato nel 2008 con il primo esperimento di coworking a Milano, oggi è un network che raccoglie più di 50 spazi in tutta Italia. Per valorizzare la “risorsa umana” attraverso la relazione, e al tempo stesso fare incontrare la domanda di chi cerca un luogo per lavorare con l’offerta di chi ha un ufficio da condividere. Il network offre ai soci un calendario di incontri per conoscersi e aggiornare le proprie competenze in tema di marketing online, comunicazione, goal setting e selezione del personale.

E sul welfare? Per quello c’è Piano C, progetto di coworking milanese fortemente orientato all’offerta di servizi di conciliazione famiglia-lavoro. Oltre ai “soliti” uffici, sale riunioni, cucina attrezzata, telefoni e stampanti, le strutture di Piano C offrono area relax, spazi “salvatempo” con servizi prenotabili online, e soprattutto Cobaby, una sala dedicata ai bimbi dai 3 mesi ai 3 anni aperta dalle 9.00 alle 19.00, con uno spazio-gioco che apre alle 16.00 per intrattenere bambini di età diverse. Il servizio costa al massimo 7 euro all’ora, e fino a 200 euro mensili possono essere rimborsati attraverso la richiesta della Dote Conciliazione della Regione Lombardia. L’ultima novità lanciata proprio a novembre 2013 da Piano C con Inspire è MaaM – Maternity as a Master: la prima proposta formativa per trasformare l’esperienza della maternità in una scuola di management attraverso un percorso per aiutare le manager a sfondare il “tetto di cristallo” e preparare le lavoratrici in maternità al rientro al lavoro più forti e competenti di prima.

Fonte: Secondo Welfare