Vorrei riprendere il filo rispetto all’ultimo post di Roberto Turchetti parlando di strumenti che facilitano il rapporto produttività-benessere e di come l’innovazione possa migliorare la qualità del nostro lavoro.

Il 6 febbraio si è svolta a Milano la “Giornata del lavoro agile”, promossa dal Comune di Milano. Hanno aderito circa 100 aziende per un totale di 10.000 lavoratori. Ma cosa significa lavoro agile? E come si incastra con il benessere e con il welfare?

Una delle principali leve dei sistemi di welfare aziendale è la revisione dei modelli organizzativi per “liberare tempo” e promuovere la flessibilità dei tempi e dei luoghi di lavoro. Tutto questo oggi è possibile grazie alle nuove tecnologie ICT, alla connettività e allo sviluppo di nuove soluzioni (si pensi a Skype) che consentono la condivisione a distanza in modo rapido ed efficace.

Un  tempo si parlava di “tele-lavoro”, ma la pratica si è arenata per tutta una serie di complicazioni tipicamente italiane: certificazione delle postazioni di lavoro casalinghe ai fini delle norme di sicurezza, problemi di segregazione dei lavoratori distaccati, e così via. Di fatto il tele-lavoro è rimasto una modalità di lavoro residuale applicata solo da poche grandi aziende che si possono permettere i costi di una gestione così complicata.

E proprio per venire incontro alle esigenze delle Piccole Medie Imprese (che come tutti sappiamo rappresentano il vero tessuto economico del nostro paese), oggi il concetto è evoluto verso quello di smart working. Oppure “lavoro agile”, come ha preferito chiamarlo il Comune di Milano. I tempi sembrano ormai maturi per un nuovo quadro normativo, in dicembre è stata firmata una proposta di legge tripartisan da parte di Alessia Mosca (PD), Barbara Saltamartini (NCD) e Irene Tinagli (Scelta Civica). Adesso si spera in un rapido iter parlamentare visto che il nuovo premier Renzi sicuramente conosce, presidia e apprezza le nuove tecnologie digitali.

Le finalità della nuova legge sono profonde e potrebbero incidere molto positivamente sulla cultura imprenditoriale e manageriale del nostro Paese: semplificando la normativa, spostando il focus sulla condivisione della responsabilità della sicurezza tra impresa e lavoratore,  promuovendo il lavoro per obiettivi dove l’importante è portare i risultati nei tempi condivisi e non “timbrare il cartellino”.

D’altra parte gli impatti dello smart working sulla produttività potrebbero essere consistenti come ha di recente evidenziato l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (http://www.osservatori.net/smart_working):

  • Per le aziende: incremento della produttività per un valore di 27 miliardi di euro e riduzione dei costi fissi di 9 miliardi di euro;
  • Per i lavoratori: risparmio di 4 miliardi di euro grazie ai minori spostamenti e miglioramento del work-life balance, quindi del benessere personale e famigliare. Senza contare i positivi impatti sull’ambiente.

Ancora una volta l’Italia è in ritardo rispetto all’Europa, anche se entro il 2015 un’impresa su tre permetterà ai dipendenti di utilizzare i device personali per scopi lavorativi.

Alla base, però, resta una sfida cruciale per la Direzione del Personale: saper far evolvere le competenze manageriali non solo a livello apicale, ma anche per il middle-management. Insegnando alle persone modalità di organizzazione, monitoraggio e valutazione del lavoro che prescindano dal “dove-quando” e si focalizzino sui risultati qualitativi ottenuti e sul rispetto dei  tempi concordati.

La strada del work-life balance e della flessibilità passa attraverso la crescita delle competenze dei manager.

Monica Boni – Consulente indipendente Marketing & Welfare Solutions

Fonte: Persone - risorsa della Terra