Le grandi multinazionali hanno cambiato strategia per essere più competitive. attenzioni non soltanto per i fuoriclasse in ditta ma per tutti gli addetti: flexible working, orario concordato, telelavoro e aumenti di stipendio legati alle performance.

Competività non fa rima con aumento della produttività, ma con buona organizzazione dei processi aziendali. Lo dicono e lo dimostrano gli economisti Nicholas Bloom e John Van Reenen in uno studio pubblicato sull’American Economic Review nel quale analizzano la crescita made in Usa a confronto con un’Europa che ancora procede al rallentatore. Certo, c’è il costo dell’energia a fare la differenza, sempre più basso negli Stati Uniti e sempre più alto nel vecchio continente. Ma secondo i due autori, la chiave vincente arriva dalle multinazionali a stelle e strisce, capaci di sfornare innovazione grazie a una efficiente gestione della forza lavoro. Si tratta di modelli organizzativi aggiornati costantemente, che, oltre a rendere migliore la vita dei dipendenti, mettono il turbo alla produttività. Flexible working, dalla possibilità del telelavoro al flextime a orario concordato, un crescente Welfare aziendale e formazione continua, in ottica di sviluppo all’interno dell’azienda, e aumenti di stipendio legati alle performance. In altre parole lavoro “smart” al servizio dell’impresa e dei collaboratori. Per Luca Solari, docente di organizzazione aziendale e sviluppo delle risorse umane all’Università di Milano: «Le grandi multinazionali stanno cambiando approccio nei confronti dei dipendenti. Fino a qualche anno fa, la faceva da padrone il talent management, premiando, a volte anche eccessivamente, coloro che si ritenevano i fuoriclasse d’impresa. 

Presto si è capito che le punte di diamante, per quanto coccolate, sono più soggette a lusinghe e offerte da altre aziende, e capita, spesso, che cambino casacca attratte de nuove e migliori opportunità». Oggi prevale un sistema misto, che pone molta più attenzione su tutta la popolazione aziendale, scatenando così una gara tra aziende a chi offre il miglior luogo di lavoro e le migliori condizioni. Una delle tipologie più diffuse in Europa, ancora poco utilizzata in Italia sia per i quadri che per i manager, è il mentoring: si tratta di una metodologia di formazione guidata e di medio termine che affianca un lavoratore senior a uno junior, con minore esperienza. «Il nostro paese — spiega Solari — è stato pioniere nella definizione dei processi organizzativi aziendali con esperienze di rilievo come quella di Olivetti. Oggi purtroppo siamo in fondo a tutte le classifiche, ancorati a vecchi schemi di gestione. Perciò la grande rivoluzione del luogo di lavoro, in atto negli Usa e parzialmente in Europa, arriva in ritardo, e per processi imitativi, con iniziative isolate di Welfare aziendale, dagli asili nido alle mense, e all’utilizzo del telelavoro». Infatti se nel resto d’Europa l’aumento di stipendio è legato a criteri di merito, stabilito in base a performance individuali o di gruppo, in Italia lo scatto delle retribuzioni avviene perlopiù a seconda dell’anzianità del lavoratore. Nella penisola, tuttavia, la tavola è sacra. Sarà per questa ragione che il rimborso pasti o il servizio mensa è presente quasi in tutte le realtà aziendali, mentre nel vecchio continente si preferisce puntare su indennità di trasferimento (rimborsi spese di viaggio da casa al lavoro), bonus per palestre e studio. Il telelavoro rimane ancora una nicchia. Molte multinazionali incentivano i dipendenti a variare il luogo di lavoro, operando qualche giorno al mese anche da casa e in mobilità. Sulle pari opportunità e uguaglianza di genere siamo molto indietro. Sono pochissime le aziende che hanno lanciato programmi sulla diversità, contro una buona diffusione di questi piani in tutta Europa. Questi i pilastri dello smart working in salsa anglosassone che si sta diffondendo nel mondo. Il lavoro intelligente e agile permette ai dipendenti anche di ripensare gli spazi, gli orari e l’intera organizzazione aziendale. E soprattutto consente alle imprese di risparmiare e aumentare la produttività.

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano questi modelli di lavoro “intelligenti” consentono un incremento medio della produttività del 5,5% e un risparmio di costi diretti per circa 10 miliardi di euro che diventano 37 miliardi se si calcolano anche quelli indiretti. Le analisi del Politecnico su circa 600 aziende e 1.000 addetti (fra dirigenti, quadri e impiegati) dicono che la diffusione di modelli di smart working aumentano la produttività grazie alla diffusione del telelavoro (in Parlamento si sta discutendo una legge in materia); riduzione dei tempi di trasferta; una maggiore produttività del lavoro in mobilità attraverso l’uso dei terminali mobili. Le leve su cui agire, stando al team di esperti del Politecnico, sono le Policy organizzative, ovvero le linee guida relative alla flessibilità di orario, luogo e strumenti di lavoro e stili di leadership, sono legate sia al layout fisico degli spazi di lavoro, che condiziona efficienza, flessibilità e benessere delle persone che alle tecnologie digitali che possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, e supportare nuovi modi di lavorare, facilitare la comunicazione e la collaborazione fra figure interne ed esterne all’azienda. Si tratta di leve difficili da usare in contesti delle Pmi, che costituiscono l’ossatura del nostro sistema economico. Le aziende che maggiormente adottano lo smart working in Italia sono le grandi imprese: il telelavoro viene infatti concesso in maniera continuativa ai dipendenti nel 4% dei casi, mentre nelle Pmi la percentuale non arriva al 2%. Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano i modelli di lavoro “intelligenti” consentono un incremento medio della produttività del 5,5% e un risparmio di costi diretti per circa 10 miliardi di euro che diventano 37 miliardi se si calcolano anche quelli indiretti Solo nel 4% dei casi le grandi aziende italiane concedono in maniera continuativa il telelavoro ai loro dipendenti.

Fonte: La Repubblica