Il 6 febbraio si sperimenta in Italia la giornata dello «smart work», il lavoro da casa. I racconti (soddisfatti) di chi lo pratica da anni.

Niente corsa per prendere il treno, niente traffico. Nessun problema per fissare la visita dal medico o il colloquio con i professori. Giorno di riposo? No, ordinaria giornata di «lavoro agile». 

La nuova frontiera del lavoro intelligente passa per la tecnologia: si fa con il telelavoro, cioè con una postazione fissa a norma di legge e fornita dall’azienda nel domicilio del dipendente, o con lo smart work, il lavoro da remoto, via portatile o tablet, quando si ha bisogno, da dove si vuole. Da casa, dal bar, su una panchina al parco. Non contano gli orari di lavoro, ma i risultati. 

Conseguenze? Maggior tempo per sé – gli esperti lo chiamano«work-life balance» – miglior qualità della vita, che non se ne va in attesa del semaforo o nel conteggio dei permessi, e meno inquinamento, specie nelle grandi città. 

Il lavoro flessibile fa bene anche alle aziende, che secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano beneficiano in media di un aumento di produttività del 25%. Eppure, in un’Italia con 26milioni di pendolari (700 mila solo nell’hinterland di Milano per una media di 40 km al giorno), i lavoratori «agili» sono solo il 10%, un terzo della media europea.  

Resistenze a cambiare i tradizionali modelli di lavoro, paura di perdere il controllo dei dipendenti, difficoltà burocratiche non hanno favorito lo «smart work», che pure rappresenterebbe un ottimo volàno per incrementare l’occupazione femminile. 

Qualcosa però sta cambiando. Il 6 febbraio a Milano, per iniziativa del Comune, ci sarà la prima «Giornata del Lavoro Agile». Aziende ed enti sono stati invitati a far provare ad alcuni dipendenti uno «smart work day». All’appello hanno risposto una sessantina di aziende (qui l’elenco completo), per un totale di circa 10 mila persone che lavoreranno da casa o da remoto. Almeno per un giorno. 

Ma come si lavora smart? A Microsoft Italia, da poco nominato «best place to work 2013», è la regola. Abbiamo sentito i pareri di tre loro dipendenti, oltre a quelli di chi in altre aziende, per scelta, necessità o curiosità, «lavora agile». 

Nella gallery, i racconti dei dipendenti

Fonte: Vanity Fair