Nelle ultime settimane si sta discutendo su una proposta di legge sul telelavoro, firmata da Alessia Mosca (Pd), Barbara Saltamartini (Ncd) e Irene Tinagli (Sc): si tratta insomma di un proposta definibile bipartisan, espressione della attuale maggioranza di governo.

Il potenziale innovativo di questa proposta è interessante, a partire dalla terminologia utilizzata (smart working, anziché telelavoro) fino ai contenuti veri e propri, che sono una sfida per le imprese ed i lavoratori. Ma qual è la situazione attuale in Italia in materia di smart working? C’è davvero bisogno di una nuova normativa di settore, oppure l’Italia è già avanti da questo punto di vista?

Purtroppo, la situazione italiana in materia di telelavoro non è certo entusiasmante. Quando si tratta di settori innovativi, il bel paese è notoriamente arretrato ed anche in questo caso siamo tra gli ultimi in Europa: terz’ultimi per la precisione, al venticinquesimo posto su ventisette paesi. A rivelarlo è una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, che mostra tuttavia come anche nel nostro paese la situazione sia tutt’altro che statica.
Certo, siamo fanalino di coda dell’Europa anche in questo specifico settore, ma la ricerca mostra un certo dinamismo.

Nel 2013 infatti, la percentuale di smart workers in Italia ("fissi" e occasionali) è cresciuta di otto punti percentuali, passando dal 17% del 2012 al 25% del 2013: in un solo anno c’è stata quindi una crescita di circa il 50%. Si tratta di una performance del nostro paese che fa ben sperare, anche se in anni "tecnologicamente lontani" come il periodo 2003-2007, la Norvegia è riuscita a raddoppiare la percentuale di telelavoratori.

Va precisato in verità che i paesi scandinavi, dato il loro clima e la conformazione geografica, hanno una tradizione molto forte sia sul telelavoro, sia nella formazione a distanza: insomma, la vera novità è che lo smart working si diffonda gradualmente anche nel nostro paese, non tanto come mera possibilità, ma anche come modello organizzativo.

Le aziende che maggiormente adottano lo smart working in Italia sono le grandi imprese: il telelavoro viene infatti concesso in maniera continuativa ai dipendenti nel 4% dei casi, mentre nelle PMI la percentuale non arriva al 2%. Le piccole e medie imprese sono inoltre più restie anche a concedere orari di lavoro flessibili.

La crescita del telelavoro è oggi legata anche allo sviluppo dell’e-commerce in Italia, il che consente anche alle aziende, in particolare alle start up e alle agenzie di servizi che operano online, di organizzarsi in rete e di conseguenza adottano modelli originali di smart working. Basti pensare alle aziende italiane ed internazionali attive con successo nel settore del gioco a distanza come Poker Stars, che operano sia online che su dispositivi mobili, o realtá che offrono servizi nel settore travel, tra le quali Trivago rappresenta sicuramente un esempio di successo: aziende innovatrici e che operano in rete stanno adottando strategie di organizzazione del lavoro più flessibili.

L’economia italiana è tuttavia ancora dominata dal modello PMI, per cui le aziende organizzate prevalentemente online costituiscono ancora un’eccezione. Le PMI risultano insomma più conservatrici da questo punto di vista, ben venga quindi una proposta di legge che sappia veramente liberare il potenziale dello smart working: secondo la ricerca della School of Management del Politecnico di Milano, infatti, lo smart work potrebbe garantire una crescita della produttività del 5,5%, il che vorrebbe dire una maggiore ricchezza per 27 miliardi.

Fonte: Forexinfo.it