Come sta cambiando il luogo di lavoro? La ricercatrice Adapt Francesca Sperotti individua tre elementi chiave di trasformazione che, nei termini dello Humanistic Management potremmo riassumere in Smart WorkingConvivialitàIntelligenza collaborativa.

1. Da luogo fisso a luogo mobile

L’innovazione tecnologica e la comparsa dei nuovi mezzi di comunicazione hanno gradualmente eliminato ogni tipo di barriera spazio-temporale che per decenni ha caratterizzato il mondo del lavoro. Lo conferma una recente ricerca Cisco sulla trasformazione che i luoghi di lavoro che stima in un valore aggiunto di 4, 5 miliardi di dollari l’impatto delle tecnologie nei processi non solo produttivi, ma anche negoziali, decisionali e relazionali di tipo lavorativo.

Se il telelavoro, alla fine degli anni Novanta, ha rappresentato una prima rivoluzione nel modo di lavorare, oggi ci stiamo avvicinando verso una nuova frontiera, quella dell’“ubiquous work” – ossia del lavoro che può essere svolto in qualsiasi luogo e orario. Non si tratta più di lavorare, totalmente o parzialmente, da casa o da un altro ufficio in remoto, ma riguarda la possibilità di poter scegliere il luogo e il tempo di lavoro grazie all’alto grado di mobilità e connessione degli ultimi dispositivi high-tech. Si può lavorare da casa o in ufficio, o in luoghi terzi, che possono essere quelli messi a disposizione dall’azienda – i cosiddetti “in between spaces” dotati di scrivanie, connessioni internet, telefoni, fax e stampanti – o quelli liberamente scelti dai lavoratori (come le biblioteche, caffetterie, parchi ecc.). Questa facoltà di scelta avrebbe il vantaggio di dare ai datori di lavoro una maggiore flessibilità nella pianificazione delle attività lavorative, e ai lavoratori di modellare i propri tempi e luoghi di lavoro sulla base dei propri stili e necessità di vita.  In  linea generale, vi sarebbe un uso più efficiente e flessibile della forza lavoro, una riduzione nei consumi di energia e dei costi di affitto degli uffici, e un incremento nella produttività.

Comunemente si ritiene che questa maggiore discrezionalità sia una prerogativa di una porzione ridotta di lavoratori, ossia di coloro che sono impiegati in certi settori (come quelli dell’intermediazione immobiliare e finanziaria) o in specifiche funzioni (ad esempio amministrazione, comunicazione, finanza, relazioni esterne etc.). Invece, un rapporto inglese dimostra come questo gruppo potrebbe allargarsi se si considerano tutti quei lavoratori che dispongono di un certo grado di indipendenza dal tempo e dal luogo di lavoro che può essere di fatto ulteriormente rafforzato dai nuovi mezzi hight-tech mobili. Ai “time-lords”, cioè coloro che già dispongono di una maggiore libertà di scelta del luogo e del tempo di lavoro, come gli amministratori delegati, artisti, ricercatori nelle scienze sociali (quadrante in alto a sinistra nella Figura 1), si aggiungerebbero i “remote controllers”, ad esempio gli operatori dei call-centers e alcuni operatori ICT che sono indipendenti dal luogo di lavoro (quadrante in alto a destra) e, infine, i “time-stretchers” che invece sono indipendenti dal tempo, come nel caso degli operatori sociali (quadrante in basso a sinistra).

Una porzione sempre maggiore di lavoratori potrebbe dunque essere coinvolta dall’alto grado di mobilità, connessione e flessibilità proprio delle nuove tecnologie.

Tuttavia, questo nuovo trend non è spinto solo dagli strumenti tecnologici o dal grado di dipendenza da luogo e tempo dell’attività lavorativa, ma è favorito dalla stessa richiesta espressa dalle future generazioni di lavoratori: oggigiorno, quasi due studenti su tre prossimi ad entrare nel mercato del lavoro si aspettano di essere in grado di accedere alla propria rete aziendale utilizzando il proprio computer di casa, e circa la metà di essi si aspettano di fare lo stesso con i loro dispositivi mobili personali (Cisco, 2011). In altri termini, se viene garantita la possibilità di connettersi, ciascun luogo può diventare potenzialmente un posto di lavoro per una crescente porzione di attività lavorative.

 
2. Da luogo di lavoro a luogo di incontro
Questo nuovo “anytime-anywhere work” supera dunque quei limiti spaziali del tradizionale “luogo di lavoro” rendendo più arcaica l’idea di “andare al lavoro” sostituendola con la pratica sempre più diffusa di “connettersi al lavoro” (Morgan). Tuttavia, il passaggio all’“ubiquous work” non implica la scomparsa dello spazio fisico dell’ufficio ma piuttosto il fatto che non esisterà più nella sua forma convenzionalmente intesa e cioè quella del luogo in cui i lavoratori si recano quotidianamente per svolgere la propria attività lavorativa.
 
Dal momento che i computer portatili e i dispositivi tecnologici personali, abbinati al Web 2.0, sono già in grado di essere il vero e proprio ufficio, nel futuro, il posto di lavoro non sarà più il luogo in cui lavorare ma quello in cui incontrare, da un lato, colleghi e superiori, e dall’altro, soci e clienti. Si tratta di un fenomeno già visibile in alcune aziende che hanno abolito le pareti dei singoli uffici e creato ampi open spaces e sale riunioni. I dipendenti di Microsoft nei Paesi Bassi, per esempio, non hanno nessun ufficio dedicato: trovano l’area di lavoro ideale in base a ciò cui stanno lavorando. Un’idea applicata anche nella sede di Milano di Cisco System Italia, dove il numero di postazioni disponibili è un terzo rispetto al numero dei dipendenti totali (si legga Salta, 2012). Un altro esempio è dato da Unilever che, nell’ambito del suo programma di “lavoro agile” lanciato alla fine del 2009, sta riducendo gli spazi dei propri uffici con l’obiettivo di avere il 30% dei ruoli “senza luogo” entro il 2015 (Maitland e Thomson, 2011).
 
Gli uffici diminuiscono e gli spazi vengono convertiti in luoghi di incontro: questa è la filosofia alla base del futuro modo di lavorare e collaborare con colleghi, superiori, soci e clienti. Di conseguenza, lo spazio interno di un’azienda si trasforma: non solo vengono abbattuti i muri in favore di spazi aperti, ma viene anche cambiato l’arredamento in modo da rendere lo spazio più “cool” per agevolare gli incontri e favorire la creatività e l’innovazione. L’ambiente di lavoro degli uffici di Google è, in tal senso, quello più conosciuto: le immagini delle sue postazioni in barche a remi, alveari, o sdraio colorate e quelle di ampi spazi di relax hanno fatto il giro del mondo. Colori vivaci, luci, spazi ariosi sono pensati per rendere il lavoro più confortevole e collaborativo. Molte altre aziende stanno intraprendendo questo trend che, come emerso da uno studio di dati ([1]), sarà predominante nel futuro (Figura 2).  Il luogo di lavoro diventa dunque un “hub” al centro di fitta rete di relazioni strette con un’ampia e variegata gamma di soggetti interni ed esterni (produttori, fornitori, clienti, soci e anche concorrenti) tutti egualmente importanti per rimanere competitivi nel futuro mercato.
 

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Figura 2
. L’ufficio come luogo di incontro
 
3. Da luogo di conflitto a luogo di collaborazione
La collaborazione online (si pensi appunto alle connessioni video, interazioni wiki, alle piattaforme di cooperazione, intranet, ecc.), ha in parte sostituito l’interazione quotidiana “face-to-face”, creando una nuova forma di comunicazione, l’interazione virtuale, che ha dimostrato di avere diversi aspetti positivi. Tra questi gli studi citano: la possibilità di portare nello stesso “luogo” voci provenienti da diversi background, funzioni, e mansioni con il valore aggiunto di integrare competenze diverse per uno scopo comune; sostituire le strutture gerarchiche con interazioni di tipo “orizzontale”; tempi decisionali più veloci; maggiore capacità di adattamento alle esigenze del presente e una migliore capacità di reazione ai cambiamenti; una comunicazione più condivisa che arricchisce il singolo e il gruppo (per un approfondimento si legga Minghetti).
 
In poche parole emerge una comunicazione più fluida che cambia, tra le altre cose, i tradizionali rapporti tra: datore, lavoratore e sindacato. Infatti, in virtù della più accentuata interazione virtuale, la relazione datore di lavoro-lavoratore perde il suo connotato gerarchico e individuale. Dipendenti e dirigenti sono “più vicini” nello spazio virtuale, dove il rapporto non è più “a due” ma di “comunità”, aperto e orizzontale, in cui l’“anzianità” e la “qualifica” giocano un ruolo secondario.

Grazie agli strumenti di cooperazione on-line, ogni dipendente dispone di una maggiore possibilità di esprimere la propria opinione, partecipare al processo decisionale e agli obiettivi aziendali. Il potere decisionale, tradizionalmente nelle mani del comitato esecutivo, viene gradualmente decentrato: i lavoratori sono sempre più “co-produttori” anziché semplici “esecutori”.

Se da un lato questa vicinanza rafforza il senso di appartenenza all’azienda e alla cultura aziendale, dall’altro, indebolisce il ruolo di intermediazione che fino ad oggi ha svolto il sindacato di fronte al tradizionale conflitto imprenditore-lavoratore: se virtualmente le due parti collaborano, i toni conflittuali diminuiscono e con essi la ragione di esistenza dei sindacati. Questi ultimi devono dunque ripensare al proprio ruolo e alla loro dimensione collettiva partendo dalla constatazione che l’uso delle nuove tecnologie sul posto di lavoro ha creato molteplici reti che, oltre ad esprimere una vasta gamma di interessi, trascendono i confini aziendali.

Le reti e le nuove tecnologie delle comunicazioni sono uno dei molteplici fattori di cambiamento del futuro del lavoro ma, più di altri, stanno creando un nuovo luogo di lavoro che diventa uno spazio comune, fisico e virtuale, del sapere, confronto e collaborazione. Riconoscere tale tendenza in atto è necessario per prepararsi al futuro del lavoro che, per certi aspetti, è già radicato nel presente.

Fonte: Il Sole 24 Ore