Conviene avere più donne ai vertici delle imprese? È un beneficio per l'impresa e l'economia nel suo complesso o solo per la donna che arriva a fare il capo? La domanda è di grande attualità, nei giorni in cui sono arrivati al Senato gli emendamenti del governo alla proposta di legge Golfo-Mosca, che impone alle società quotate una percentuale di almeno il 30% del genere meno rappresentato nei Consigli d'amministrazione e nei collegi sindacali.  Modifiche che accolgono le richieste di maggiore gradualità di Confindustria, Abi e Ania (si veda il Sole 24 Ore di ieri) e che quindi allungano (troppo) i tempi per il raggiungimento della quota del 30% (entro il 2021).
Uno degli argomenti portati a favore di una maggior rappresentanza femminile ai vertici delle aziende è la relazione positiva tra presenza femminile e performance, testimoniata anche da un recente studio McKinsey–Cerved. Se avere più donne ai vertici si associa con una miglior prestazione aziendale, allora ben vengano le quote di rappresentanza. Le stesse imprese avranno solo da guadagnarci e, con loro, tutta l'economia del nostro paese.
Nell'azienda le donne sono portatrici di uno stile diverso rispetto a quello maschile: l'attenzione alle persone, la capacità di gestire le relazioni con gli interlocutori, l'abilità nel prevenire e risolvere i conflitti, la disponibilità a condividere le decisioni, la minor propensione al rischio sono caratteristiche della leadership femminile che possono avere effetti positivi sulla performance. Inoltre in un contesto eterogeneo aumentano le possibilità di affrontare le scelte con prospettive più variegate, di avere a disposizione una platea di talenti più ampia e di rafforzare la rappresentanza di tutti gli azionisti. Questo può avere dei risvolti positivi anche per l'immagine dell'azienda. Un ambiente eterogeneo per genere sembra essere più fertile rispetto a uno in cui la diversità sia di età oppure di nazionalità.

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