Donne - Lavoro - Stati Generali: "Profilo e fattori determinanti dell'inattività femminile in Italia": maternità, conciliazione e maggiore flessibilità femminile - Ricerca ISFOL

 "I bassi livelli di attività femminile del nostro paese rappresentano uno dei fattori più critici del mercato del lavoro italiano". Così Marco Centra(Isfol) nella relazione presentata al CNEL durante lo svolgimento degli Stati generali sul lavoro delle donne in Italia dal titolo: "Profilo e fattori determinanti dell'inattività femminile in Italia".

  "Sia i dati diffusi dall’Istat, che studi specifici - ha proseguito Centra- indicano la natura strutturale del fenomeno. La propensione delle donne al lavoro aumenta costantemente nel  lungo periodo, grazie alla maggiore tendenza delle nuove generazioni, rispetto alle precedenti, ad entrare nel mercato del lavoro; inoltre la progressiva rimozione di fattori strutturali che hanno limitato la presenza femminile nell’occupazione contribuiscono ad aumentare i tassi di attività femminile. Tuttavia tali elementi, pur costanti nel tempo, appaiono ancora insufficienti per garantire al nostro paese un livello di occupazione femminile paragonabile a quello dei maggiori competitors  comunitari". 

   " Il fenomeno dell’inattività femminile in Italia è il risultato di una complessa serie di fattori, legati al profilo del tessuto produttivo, al sistema di welfare del nostro paese, ai modelli culturali ancora prevalenti in molte parti del territorio italiano.  I risultati di una indagine Isfol  sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, ha previsto una indagine su un campione di 6.000 unità rappresentativo della donne italiane in età compresa tra 25 e 45 anni. L’indagine, rivolta sia a donne occupate che inattive, è stata orientata a comprendere i motivi della scelta di non lavorare o dei fattori che hanno imposto alle donne la condizione di inattività, indipendentemente dalla scelta individuale.Un primo dato rilevante riguarda la scelta della condizione occupazionale: la stragrande maggioranza delle donne occupate (97,8 %) dichiara di aver scelto la propria condizione, mentre una quota elevata (35,2 %) di donne inattive manifesta il carattere involontario delle propria situazione occupazionale".

  Il 21 % delle donne inattive non ha mai cercato un lavoro in passato, tuttavia la maggioranza delle donne che attualmente non cercano lavoro sarebbe disposte a lavorare (84,5 %). I dati riportati, sia sulla natura involontaria della condizione di inattività sia sulla disponibilità al lavoro, evidenziano un elevato margine all’aumento della partecipazione femminile al lavoro, in special modo nelle generazioni più giovani. Cosa contribuisce a determinare la bassa partecipazione femminile al lavoro ? Alcuni elementi provengono dall’analisi delle motivazioni che hanno spinto le ex-lavoratrici a lasciare il lavoro in maniera definitiva. Tra le motivazioni principali vi sono quelle legate a fattori familiari: il 40,8% delle ex lavoratrici dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa per prendersi cura dei figli e circa il 5,6% per dedicarsi totalmente alla famiglia o ad accudire persone non autosufficienti. Vi è tuttavia una buona parte delle ex lavoratrici che dichiara di aver dovuto terminare l’attività lavorativa per cause non volontarie: oltre il 17% segnala la scadenza di un contratto a termine o stagionale, il 15,8% il licenziamento o la chiusura dell’azienda. Tali fattori introducono due ordini di problemi: la conciliazione lavoro-famiglia e il più elevato livello di flessibilità della donne  occupate.

Il primo tema è legato, in estrema sintesi, alla divisione del lavoro domestico all’interno della famiglia e al profilo del sistema di welfare italiano, caratterizzato da una scarsa incidenza di servizi alle famiglie e, in generale, poco incline alla conciliazione vita-lavoro delle donne. Lo studio condotto dall’Isfol rivela che, contestualmente agli episodi di maternità, la propensione degli uomini all’occupazione aumenta, mentre quella delle donne diminuisce drasticamente. Il tasso di attività maschile passa dall’85,6 % al 97,7 % dopo la nascita di un figlio, mentre quello femminile passa bruscamente dal 63 % al 50,3 %. Oggi la maternità è, più che in passato, un evento pianificato: i dati suggeriscono l’esistenza di un meccanismo decisionale all’interno delle famiglie che prevede di programmare la nascita di un figlio quando l’uomo raggiunge una posizione lavorativa e reddituale stabile, mentre il ruolo femminile nel mondo del lavoro è sacrificabile alla cura dei figli e all’attività domestica. Va rilevato che in presenza di un figlio piccolo anche il tasso di disoccupazione femminile cala bruscamente dal  9,1 % al 3,8 %, ad indicare che una quota rilevante di neo-mamme non ha neppure intenzione di cercare un lavoro.

  La spiccata asimmetria della ripartizione dei carichi di lavoro domestico è evidente dai dati dell’indagine Isfol relativi ai
tempi di lavoro: la giornata media lavorativa degli occupati con almeno un figlio, tenendo conto del lavoro retribuito, del lavoro familiare e degli spostamenti da casa al lavoro, è di circa 15 ore. La maggior parte del tempo dei padri, circa 10 ore su 24, è dedicato al lavoro retribuito, mentre il tempo delle madri è diviso tra lavoro familiare, 8 ore e 35 minuti, e lavoro retribuito, 7 ore e 9 minuti. In generale la giornata lavorativa femminile, rispetto a quella maschile, è più lunga di 45 minuti. Le donne dormono circa 10 minuti meno degli uomini, hanno meno tempo da dedicare alla cura di sé e al tempo libero, ma soprattutto dedicano molto più tempo al lavoro domestico.

Secondo l'indagine Isfol l’origine di molti dei fenomeni osservati è di natura culturale, nel senso che le scelte decisionali prese in età adulta appaiono strettamente correlate al modello culturale in cui si è cresciuti, a quello della società cui si appartiene e al processo di elaborazione  personale di tali modelli che porta, nel processo di crescita, alla costruzione di un modello individuale imitativo o oppositivo.  Tali modelli agiscono sia direttamente, producendo nelle donne la scelta di non  lavorare, sia indirettamente, imponendo schemi di divisione del lavoro familiare dove la funzione di produzione del reddito è principalmente o esclusivamente appannaggio dell’uomo (male breadwinner model). Dall’indagine Isfol risulta che tali modelli vanno progressivamente scomparendo nel nostro paese, dal momento che le nuove generazioni, sia maschili che femminili, maggiormente scolarizzate, si mostrano più inclini ad una presenza delle donne nel mercato del lavoro e ad un divisione dei carichi familiari più bilanciata. Segnali di convergenza nei comportamenti di cura dei figli tra uomini e donne si osservano tra le nuove generazioni: nelle risposte dei giovani padri e delle giovani madri non si evidenziano infatti grandi differenze nella ripartizione dei carichi di lavoro sia per quanto riguarda la cura dei figli che la cura dei parenti. Rimane tuttavia elevata la differenza nei tempi dedicati al lavoro domestico.

  L’indagine rivela tuttavia che i modelli culturali che prevedono per le donne la sola o prevalente funzione di aiuto domestico hanno una forte correlazione intergenerazionale: la propensione attuale delle donne all’occupazione è fortemente legata alla condizione occupazionale della madre, elemento che dimostra l’impatto elevato della dimensione culturale. Il livello di istruzione determina una quota non indifferente di inattività dovuta a trasmissione intergenerazionale di modelli culturali in qualche avversi al lavoro delle donne: l’83,4 % delle donne intervistate, la cui madre aveva un basso livello di istruzione, dichiarano che durante l’infanzia i suoi genitori prospettavano un futuro da lavoratrice, contro il 99,2 % delle donne la cui madre aveva un livello di istruzione elevato.

Vi sono poi aspetti legati al funzionamento del mercato del lavoro sia in merito alla più elevata incidenza tra le donne di forme di lavoro flessibile, sia riguardo una differenza sistematica tra le retribuzioni. Per le donne che potenzialmente potrebbero entrare nel mercato del lavoro, specie per le meno istruite, il reddito atteso è inferiore o poco superiore ai costi di sostituzione del lavoro domestico, elemento che provoca un disincentivo netto alla partecipazione. Tale scenario è aggravato dalla scarsa presenza di servizi alle famiglie, cui s’è accennato, che impone alle donne di provvedere al lavoro domestico e alle attività di cura a figli e parenti anziani. Tali evidenze sono il risultato di uno studio specifico sul confronto tra i livelli salariali ai quali le donne inattive sarebbero disponibili a lavorare e i salari effettivi offerti sul mercato. L’analisi ha evidenziato due gruppi di inattive: da un lato le donne maggiormente istruite sarebbero disposte a lavorare ad un salario inferiore a quello offerto dal mercato; in tal caso l’inattività è spiegata con frizioni dovute al
cattivo incontro tra domanda e offerta di lavoro. Un secondo gruppo di donne inattive, caratterizzate da bassa scolarità, dichiarano un salario al quale sarebbero disposte a lavorare superiore a quello offerto sul mercato; tale segmento di inattive, che rappresenta la maggioranza, è più complesso da recuperare.

Le donne indicano la strada da percorrere per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro insistendo sui fattori legati ai servizi alle famiglie, ai tempi di lavoro flessibili e ad un riassetto degli squilibri nella divisione del lavoro familiare. Interventi ritenuti efficaci per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro Indennità economiche ai nuclei familiari Il modello sociale che ha sostenuto per decenni la pur scarsa presenza delle donne sul mercato del lavoro, quello basato sulla famiglia allargata e non su una disponibilità strutturale di servizi alle famiglie, sembra aver fatto il suo tempo. In un sistema europeo che chiede in maniera sempre più pressante una presenza femminile nel mercato del lavoro pari a quella degli uomini, con le stess opportunità e con uguali retribuzioni, occorre da un lato incentivare il ruolo del servizio pubblico, fornendo alle famiglie asili nido per l’infanzia e servizi di cura per la terza età non autosufficiente e, dall’altro, sviluppare un modello sociale in grado di promuovere una ripartizione equa del lavoro familiare e di condividere le risorse produttive e riproduttive.

(03/02/2012-ITL/ITNET) 

Fonte: Italian Network