Per il progetto di salario si cercano ancora le risorse necessarie, intanto partirà il censimento delle milanesi "professioniste domestiche".

Un’anagrafe per tutte le casalinghe milanesi. E per valorizzarne il ruolo all’interno della famiglia, magari anche una retribuzione fissa mensile, così da permettere alle donne che lavorano più per necessità che per gloria di passare maggior tempo a casa con i propri cari. Nel giorno delle mimose, ecco i due progetti a cui sta lavorando il Comune pensando in chiave femminile. La filosofia di fondo la riassume l’assessore alla Salute, Giampaolo Landi di Chiavenna: «Oggi si rileva una carenza del ruolo femminile in casa. La mia proposta è indirizzata alle donne obbligate a lavorare per far quadrare i conti alla fine del mese, ma che preferirebbero invece trascorrere più tempo a seguire figli, marito e genitori anziani, lavorando così per la propria “azienda” famigliare». Anche la terminologia subirebbe un cambiamento: non si parlerebbe più di casalinga, «un termine spesso svilente rispetto a un ruolo viceversa prezioso» aggiunge Landi, ma di “professionista della casa e della famiglia”.

I tecnici comunali sono al lavoro per mettere a punto un sistema di raccolta dei loro dati e istituire un’anagrafe aggiornata a cui attingere per individuare a chi corrispondere lo stipendio. Naturalmente una volta trovate le risorse necessarie: «Stiamo vagliando vari fronti — precisa Landi — la chiave potrebbe essere una collaborazione tra fondi locali ma anche regionali e statali, se non addirittura inserire la retribuzione femminile come ammortizzatore sociale».

Il ragionamento di Palazzo Marino parte anche da un dato, che è quello del tasso di natalità a Milano, fermo all’1,3 per cento. Una percentuale di nascite molto bassa, che si vorrebbe raddoppiare. E la chiave potrebbe essere proprio aiutare, con uno stipendio pubblico, quelle donne che potendoselo permettere rinuncerebbero a lavorare fuori casa.


Per le donne che al lavoro fuori aggiungono il carico di quello domestico, invece, è allo studio un aumento del supporto psicologico spesso necessario a chi ogni giorno fa salti mortali per incastrare casa-ufficio-figli. Lo stress sul posto di lavoro è in aumento, per gli uomini ma soprattutto per le donne e lo psicologo d’azienda è una figura che Palazzo Marino vuole estendere, incrementando quel 14 per cento di diffusione del servizio che si registra oggi negli uffici lombardi.

Per mettere a punto una delibera da portare in giunta, prima serve però un incontro per unire le forze. In settimana si terrà un tavolo tra vari attori: oltre al Comune, Assolombarda e Unione del Commercio, che devono creare terreno fertile tra le grandi aziende e piccole e medie imprese per l’inserimento di uno psicologo per i dipendenti, e l’università Cattolica, in particolare il dipartimento di Psicologia, che deve invece fornire i professionisti della mente da mettere all’opera.


Fonte e articolo integrale: La Repubblica
(pubblicato l'8 marzo 2010)