Maggiordomo, palestre, asili nido e lavanderie. E soprattutto, flessibilità. Negli orari, nei contratti di lavoro e anche negli stipendi. Per scovare esempi di welfare aziendale non serve arrivare fino alla Silicon Valley. Anche in Italia, piccole, medie e grandi aziende cominciano a darsi da fare per somigliare agli edifici colorati del Googleplex, il quartier generale di Google a Mountain View, sogno di tanti lavoratori vessati dallo stress d'ufficio. E ogni anno il Great Place To Work Institute seleziona anche per il nostro Paese le 25 migliori aziende in cui lavorare.



Quest’anno in cima alla lista si trova il gigante svedese dei brik del latte e dei succhi di frutta, Tetra Pak, che in Italia dà lavoro a circa mille persone. Oltre agli orari di lavoro flessibili, nella sede modenese i dipendenti possono usufruire di sauna, palestra, un servizio di lavanderia e di riparazione degli impianti domestici, un bus navetta urbano, una copertura sanitaria integrativa per il rimborso delle spese mediche, contributi per l’acquisto di pc e per l’alfabetizzazione digitale di tutta la famiglia. Un gradino sotto Tetra Pak, si è posizionata la Cisco Italia, azienda californiana specializzata negli apparati hardware per le reti aziendali. Quattrocentonovanta dipendenti in Italia e cinque sedi tra Vimercate, Monza, Roma, Torino e Padova.

Qui il welfare aziendale poggia sul concetto di flessibilità, dicono. «Noi tutti lavoriamo duramente ma abbiamo messo in campo politiche e strumenti affinché si possa conciliare il lavoro con le esigenze personali», spiega l’amministratore delegato David Bevilacqua. Del resto, «siamo l’azienda che ha la rete, la condivisione, l’accesso e la collaborazione da qualsiasi luogo e da qualsiasi strumento e noi stessi ne traiamo le opportunità offerte». Alla Cisco, la presenza fisica in ufficio e il luogo di lavoro non sono importanti. E non esiste neanche un registro delle presenze. «La nostra cultura aziendale», continua l’ad, «si basa sui concetti di collaborazione e sulla misurazione dei dipendenti in base a obiettivi personali. Emblema di questa cultura aziendale è che i dipendenti Cisco non devono registrare l'entrata o l'uscita dall'ufficio».

È quello che viene chiamato “flexible work”. Con «la possibilità di lavoro da remoto». Questo significa che «la postazione presente in ufficio viene replicata nell'abitazione del dipendente, rendendo assolutamente trasparente per il chiamante il luogo fisico da cui si risponde ad una telefonata, da cui si fa una conference call, una sessione di Webex o una chiamata attraverso una postazione video». Il che, prosegue Bevilacqua, «permette di evitare il traffico nelle ore di punta ma soprattutto di lavorare gestendo i propri tempi durante la giornata, in particolare per coloro che hanno necessità di conciliare la vita familiare con gli impegni professionali».

Fin qui la flessibilità. Poi arrivano i benefit. Oltre alle agevolazioni economiche, come l’assicurazione per chi viaggia e le convenzioni con palestre e asili nido, c’è anche un servizio sanitario personalizzato, Employee assistance program (programma di assistenza per il dipendente). «Oltre un anno fa abbiamo lanciato un sistema innovativo di prevenzione sanitaria in collaborazione con l’Ospedale di Niguarda per i nostri dipendenti di Vimercate», spiega Bevilacqua. «Il servizio, basato sulla nostra tecnologia di telepresenza, consente ai lavoratori di sottoporsi a visite di prevenzione senza lasciare l’ufficio, avvalendosi di una postazione in azienda collegata con il Niguarda». E la ricaduta sulla produttività di un sistema che punta «sul benessere di tutti i lavoratori» è sotto gli occhi di tutti. «Basta guardare ai nostri risultati trimestrali e annuali pubblicato lo scorso 15 agosto», commenta Bevilacqua. Nell’ultimo anno le vendite sono cresciute del 7%. E nel quarto trimestre del 2011-2012, il gruppo ha riportato un utile netto pari a 1,92 miliardi di dollari, in crescita del 55% rispetto agli 1,23 miliardi dello stesso trimestre dell’anno precedente.

Passando dalle reti di Cisco ai software della multinazionale americana Sas, al 12esimo posto in calssifica Best Place to Work, i servizi non diminuiscono. Nella struttura del vecchio istituto Sieroterapico di Milano, lungo il Naviglio Pavese, a maggio 2011 è stato inaugurato l’asilo nido aziendale: 400 metri quadri aperti ai figli dei dipendenti e a trenta bambini del quartiere, per un totale di circa cinquanta posti. E gli orari di entrata e uscita sono flessibili, adattabili alle esigenze dei genitori che lavorano. Un servizio di non poco conto, se si considera che le donne all’interno della Sas rappresentano il 43% del personale e il 50% del board (6 su 12). E se non si riescono a conciliare gli orari d’ufficio con gli impegni familiari, oltre alla flessibilità oraria e al telelavoro, l’azienda mette anche a disposizione il “servizio maggiordomo”, una persona che paga le bollette, porta i panni in lavanderia, ma che può anche prenotare i posti a teatro e per i concerti o pagare l’abbonamento tv e le multe dell’auto.

Un punto forte dell’azienda è la flessibilità nei contratti di lavoro. «Sas ha all’attivo 27 orari di lavoro diverso per una massima conciliazione tra vita professionale e privata», spiega Elena Panzera, direttore delle risorse umane. Tra i dipendenti, il 10% ha un contratto part-time. E alle donne che rientrano dalla maternità viene concesso un orario ridotto per i sei mesi successivi. Se welfare significa anche benessere, nella struttura non poteva mancare una palestra. Con tanto di personal trainer. Duecento metri di attrezzature per ogni tipo di attività. «Utili soprattutto per la prevenzione del mal di schiena e alla correzione della postura», dicono. Problemi comuni tra chi passa tante ore dietro a una scrivania. Tra tapis roulant e cyclette, c’è anche un nutrizionista pronto a dare consigli alimentari. I corsi a disposizione vanno dalla preparazione presciistica ai corsi di autodifesa personale, dallo yoga al beach volley. «C’è il corso pilates due volte a settimana e uno di body tone sempre due volte a settimana», spiega Raffaella, una degli addetti stampa della compagnia.

Ultima novità del welfare aziendale firmato Sas è il sistema di flexible benefits. Perché qui, sarà la contaminazione americana, anche la retribuzione diventa flessibile. Come funziona? Parte dello stipendio (variabile) può essere integrato con servizi offerti al dipendente, che normalmente verrebbero comprati all’esterno e che invece in questo modo vengono offerti attraverso l’azienda e quindi detassati. Con questa tecnica, il costo del lavoro per l’azienda diminuisce e il potere d’acquisto del dipendente aumenta (perché la parte accessoria dello stipendio non è soggetta alle tasse). Alla Sas, tutto questo si fa online: ogni dipendente può accedere a un’area riservata del portale aziendale per confezionare la componente del proprio pacchetto retributivo variabile, scegliendo i benefit di interesse nell’area dell’istruzione per i familiari, dei finanziamenti o dei servizi come i viaggi, gli abbonamenti per spettacoli, le baby sitter ecc. «La nostra politica di flexible benefit», spiega Elena Panzera, «è un tassello di quel sistema più ampio di welfare aziendale che abbiamo voluto chiamare 2.0 per rimarcarne le novità. Un welfare che riposa su tre capisaldi: le persone e le loro famiglie, la formazione dei giovani e il collegamento forte con il mondo del lavoro».

Ma anche tra chi è rimasto fuori dalla classifica dei Best Place to Work, i servizi “family friendly” ispirati alla flessibilità non mancano. In Veneto, la Regione ha erogato un contributo di 850 mila euro a 42 imprese, cooperative, aziende sanitarie ed enti pubblici che si sono dimostrati creativi nella gestione del welfare d’azienda. Di questi, 740 mila euro sono spartiti tra 28 aziende che hanno promosso la flessibilità di orario e contratti di lavoro part-time. Gli altri 110 mila euro sono stati invece distribuiti tra 14 aziende che si sono distinte per aver agevolato il rientro a lavoro delle donne dopo la maternità.

Tra queste, c’è la Baxi, azienda di Bassano del Grappa, Vicenza, che progetta, produce e distribuisce caldaie e climatizzatori. Tra i dipendenti, 760 in tutto, ci sono 240 donne e 100 immigrati. «Siamo attenti alla conciliazione tra vita lavorativa e familiare già da molti anni», dice Silvia Bordignon, responsabile della gestione del personale. «Tenendo anche presente che l’azienda ha delle esigenze specifiche». Un esempio è la linea di produzione a orario differenziato. «Una linea di montaggio e assemblaggio», spiega, «senza turni, ma con un’entrata alle 8, una pausa di mezzora e la chiusura alle 16,30». Non tutti, però, possono accedervi. Ci sono delle priorità: prima vengono i lavoratori con figli da 0 a 3 anni, poi quelli che hanno figli che frequentano scuola materna ed elementare e infine chi ha familiari con problemi di salute o chi ha bisogno di permessi studio. A comporre questa catena di montaggio “family friendly” ci sono 25 lavoratori. «In prevalenza madri», spiega Bordignon, «ma ci sono anche molti padri». E al rientro dalla maternità, fino ai tre anni di vita del bambino si può richiedere un orario di lavoro ridotto. Ma niente part-time. «Il contratto part-time è troppo rigido per noi», spiega Bordignon, «che invece abbiamo bisogno di molta flessibilità. Il part-time noi lo facciamo in un altro modo, dando la possibilità di orari di lavoro ridotti che però si adattano anche alle esigenze di produzione dell’azienda».

E per chi avesse «problemi familiari, di tossicodipendenza e alcolismo», è stata creata anche la figura del “delegato sociale”. Che ha il compito di «mediare con le strutture del territorio per offrire supporto ai lavoratori». Quello che manca è l’asilo nido aziendale. «La popolazione dei dipendenti è molto variegata dal punto di vista logistico», dice la responsabile delle risorse umane, «quindi è stato difficile individuare una struttura con cui creare una convenzione. Oltre che al fatto che manca la collaborazione da parte da parte delle strutture, che vogliono avere garanzia di un totale di posti occupati. Cosa che noi non possiamo dare».

Nonostante l’assenza di un servizio di scuola materna, però, i benefit destinati ai figli non mancano. Come i buoni scolastici: ogni anno Baxi offre ai figli dei propri dipendenti dei buoni sconto per l’acquisto dei libri scolastici e universitari. E gli effetti sulla clima aziendale sono positivi, assicurano. Il tasso di turn over è molto basso e anche l'assenteismo si è ridotto negli anni. «Certo non si può provare che alla base ci siano questi servizi. Ma qui i lavoratori si trovano bene», racconta Silvia Bordignon, «c’è un clima di collaborazione e di fidelizzazione all’azienda».

Dalla provincia di Vicenza a quella di Venezia, tra i capannoni di Automazione Veneta, azienda che realizza porte scorrevoli e girevoli per banche e uffici. Nella sede di Camponogara lavorano una settantina di dipendenti. Quasi tutti uomini. Ecco perché i servizi “family friendly” qui sono dedicati soprattutto ai padri, con permessi e orari elastici per accompagnare i bambini a scuola o per assistere parenti anziani. L’azienda ha anche stipulato convenzioni con servizi di baby sitting, lavanderia, centri estivi ricreativi e ludoteche. Senza dimenticare i corsi sulla conciliazione tra vita lavorativa e famiglia e sulla educazione paterna.

C’è chi crea e gestisce benefit e servizi tra le mura della propria azienda. Chi invece si rivolge a ditte esterne specializzate per la progettazione di pacchetti di welfare creati ad hoc. Come la Eudaimon, società nata a Vercelli dieci anni fa. «In un periodo di crisi come quello odierno, in cui non è raro che lo Stato latiti nel garantire servizi di pubblica utilità», spiega Sara Perozzi, responsabile della direzione marketing dell’azienda, «società come la nostra si fanno promotrici del cosiddetto “secondo welfare”». E le aziende «sono sempre più sensibili alle politiche di welfare e inclini alla adozione di programmi di conciliazione vita-lavoro».

Il welfare, dice Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon, «si ripercuote positivamente sul clima generale dell’impresa, che vede i suoi lavoratori prendere parte alla vita aziendale con più serenità e quindi con più motivazione». Perché? «Migliora la gestione del carico di lavoro e il coinvolgimento nei processi produttivi, con conseguenti vantaggi sulla competitività dell’azienda stessa». Per questo motivo nel 2009 è nato il network di aziende Iep (Imprese e persone), una rete di 18 imprese italiane (tra cui Edison, Wind, Sea ecc.), «che hanno a cuore il benessere dei propri collaboratori e promuovono sistemi innovativi di welfare in azienda».

Ma come funziona la progettazione di un piano di welfare per una impresa? «Ogni piano nasce dall’incontro tra aziende e consulenti del benessere», spiega Perozzi, «che valutano gli obiettivi aziendali, le caratteristiche dell’impresa e le esigenze dei lavoratori, in modo da procedere insieme alla stesura di un programma di welfare efficace e personalizzato». Tra i servizi più richiesti, ci sono quelli che riguardano la cura della famiglia. «Come il baby sitting, i campus estivi, il supporto allo studio, i corsi di genitorialità e il servizio di help desk per gli anziani», dice la reponsabile. E poi ancora quelli relativi alla salute - dalle visite mediche alle palestre - , al risparmio («le convenzioni e i temporary shop») e soprattutto alla gestione del tempo, «con il disbrigo di pratiche e piccole commissioni».

Merita un capitolo a parte il cosiddetto «welfare in rosa», destinato alle donne. Con «corsi reinserimento al rientro della maternità, sportelli di supporto psicologico, parcheggi dedicati, flessibilità, telelavoro e tutto ciò che può agevolare dopo una lunga pausa dai ritmi lavorativi». E l’azienda? «È chiaro», risponde Perozzi, «che oltre ad aiutare i dipendenti a risolvere esigenze e bisogni di conciliazione vita-lavoro, l’azienda rafforza in questo modo anche la propria immagine sul mercato». Con «il minimo sforzo e il massimo rendimento».

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Fonte: Linkiesta