Le mamme acrobate? Dilettanti. La nuova frontiera delle fatiche femminili si varca alla soglia dei cinquanta. Quando i figli - ventenni o giù di lì - sono ancora in casa, con addosso le camicie stirate dalla mamma e le gambe sotto il tavolo a pranzo e cena. I genitori, ormai ottantenni, tendono la mano bisognosi di aiuto e compagnia. E in ufficio un bel mattino il capo ti accoglie, spalleggiato dal rampante assistente nei suoi primi trent'anni:
«Siamo costretti a ridurre il personale, la tua posizione da domani non esiste più». Tradotto: arrivederci e grazie.

Non è politically correct mettere a confronto le fatiche delle generazioni, quasi fosse una gara al peggio. Ma almeno rende l'idea. E se delle difficoltà che le trentenni affrontano per tenere insieme marito-figli-ufficio si è parlato moltissimo in questi anni, le peripezie delle cinquantenni - quattro milioni e mezzo di donne in Italia - sono state pressoché ignorate.

Ora, però, non è più possibile fare finta di nulla. Per due motivi. Sul fronte del lavoro chi è nato prima del 1961 sta pagando un prezzo elevato alla crisi. Per le donne, in più, c'è che l'accelerazione verso la pensione a 65 anni anche nel settore privato fa vedere tutto in una prospettiva diversa. A 50-55 anni anche solo pensare di battere in ritirata e tornare a casa non ha più senso. L'assegno dell'Inps è troppo lontano.

Il disagio dei 50enni e delle 50enni come lo ha rilevato l'Osservatorio Manageritalia è raccontatao da Rita Querzé in un articolo uscito oggi sul Corriere della Sera che pubblichiamo integralmente.

Nello stesso tempo la seconda faccia della medaglia - quella del privato - mostra altrettante criticità. Con i tagli all'assistenza in vista, difficile aspettarsi più aiuti nella cura di anziani e nipotini. Non solo: i figli fanno sempre più fatica a trovarsi un lavoro e mettere su casa per conto proprio.

Il disagio delle due categorie «cinquantenni» e «donne» sul mercato del lavoro è messo bene in evidenza da un'indagine di Mangeritalia. L'associazione che rappresenta i dirigenti dei servizi ha chiesto a un campione rappresentativo di 1.139 manager su tutto il territorio nazionale quali sono le fasce di popolazione discriminate sul lavoro. I più bistrattati sono risultati proprio loro, gli over 50. Poco meno del 30 per cento dei dirigenti italiani sostiene di aver assistito a disparità di trattamento ai danni di colleghi o sottoposti nati prima del 1960.

Subito dopo arrivano le donne: discriminazioni al femminile sono registrate da un intervistato su quattro. Al terzo posto nella classifica del disagio da ufficio sono i dipendenti di aspetto sgradevole o poco curato. Come dire: se sei donna e hai anche superato i cinquanta, le tue chance sul lavoro crollano a picco. Se poi non sei nemmeno di aspetto gradevole, non resta che raccomandarsi ai santi del paradiso.

«Capita con tutti e soprattutto con i dirigenti, quando superano i 50 per le aziende i dipendenti diventano scomodi - constata Guido Carella, presidente Manageritalia -. Le competenze vengono sempre meno valorizzate, i pochi posti di lavoro nuovi che si vengono a creare sono spesso di livello medio basso, tanto che un cinquantenne esperto spesso viene sostituito con un giovane con la metà dello stipendio».

«Non c'è dubbio, quella degli over 50 sta diventando un'emergenza», concorda il sociologo Enrico Finzi, che aveva sollevato il problema con un libro alcuni anni fa, in tempi non sospetti.

«La fascia d'età della maturità professionale si è ristretta in modo pericoloso e ingiustificato. Il posto stabile non si trova prima dei 35 anni. Ma a 50 per le aziende sei già vecchio».

Una situazione che confligge con le esigenze dei singoli e delle famiglie. «Le cosiddette "pantere grigie" costrette a uscire dal mercato spesso non hanno ancora finito di pagare il mutuo, così rientrano in partita da precari, magari come consulenti», aggiunge Finzi. E le donne? «Beh, la guerra per tenersi stretto il lavoro è diventata ormai senza esclusione di colpi. E attraversa anche i generi. I posti sono pochi, e se tra due aspiranti ce n'è uno che ha meno tempo da dedicare al lavoro perché a casa ci sono nonni o nipotini che reclamano, la scelta tra i due è scontata. Ovviamente a favore di chi ha minori impegni familiari».

«I miei genitori hanno 89 e 82 anni - racconta Marisa Montegiove, vicepresidente di Manageritalia che ha appena superato la soglia dei '60 -. In certe situazioni una sola badante non basta. Per fortuna mia figlia non ha ancora deciso di diventare mamma. In queste condizioni non riuscirei a darle una mano. Nonostante di sicuro ne avrebbe un gran bisogno».

Tutto ciò non significa che le donne si tirino indietro rispetto alla parità, che per il momento è circoscritta al fronte delle pensioni. «È giusto, l'Unione europea ce lo chiede, come me tante vogliono fare la loro parte per il nostro Paese. Ma chi guarderà i nostri vecchi? E chi non ha le risorse per pagarsi l'assistenza di tasca propria come se la cava?», si domanda Montegiove.

Certo è che la crisi mette le donne davanti a una nuova consapevolezza. In futuro non saranno gli asili nido o l'assistenza pubblica agli anziani a migliorare la loro vita. Dove "migliorare" vuol dire semplicemente avere la possibilità di ritagliarsi qualche mezzora in più per sé e i propri interessi lungo la settimana.

Potrà aspettarsi qualcosa di meglio solo chi in famiglia saprà contrattare con mariti e compagni una più equa divisione dei compiti. Un'impresa, questa, più facile per le giovani che per le cinquantenni, che vivono equilibri di coppia ormai consolidati.

In tutta questa storia fatta di spedizioni in farmacia per i nonni, cambi di pannolini ai nipotini e corse in ufficio, c'è per fortuna un lato positivo. Le cinquantenni di oggi si sentono un po' come le trentenni degli anni '50. Raccolgono i frutti di anni di palestra due volte la settimana, crema da giorno e da notte, sedute regolari dall'estetista a costo di privarsi di un maglioncino in più.

«Tutto questo è vero, ma l'elogio della gioventù a ogni costo e lo sbandierare modelli di cinquantenni come Sharon Stone possono portare sulla cattiva strada e rendere le cinquantenni "normali" facili prede di una dittatura estetica che causa gravi problemi e peggiora la qualità della vita», avverte Simona Cuomo, responsabile dell'osservatorio sul Diversity Management dell'università Bocconi di Milano.

Insomma, un conto è godersi i propri cinquant'anni, un altro cercare di competere in bellezza e freschezza con le ventenni. La battaglia non solo è persa, genera anche pesanti frustrazioni.

«Non c'è ritocchino o trattamento che tenga - conclude Cuomo  A chi si rifiuta di fare i conti con l'anagrafe ed è vittima di un'eccessiva distanza tra età biologica ed età aspirazionale, prima o poi la vita presenta il conto. Sul piano dell'equilibrio psicologico. Semmai i veri traguardi per le cinquantenni dovrebbero essere altri. In primis equilibrio, capacità di controllo delle emozioni e serenità».

Fonte: Corriere della Sera