Settimana scorsa mi sono imbattuto in una notizia che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso. Da un rapporto sull’imprenditoria realizzato dall’Ocse su dati del 2009 risulta che l’Italia si posiziona al secondo posto in Europa per numero di donne imprenditrici su 40 paesi presi in esame. Non per essere cinico ma bisogna ammettere che, ahimè, non siamo così abituati ad essere ai primi posti delle classifiche virtuose, soprattutto di quelle che parlano di lavoro, ma in questo caso pare proprio di sì. Dai dati elaborati emerge che il 3,62% delle donne italiane che lavorano è imprenditrice e il 12,62% lavoratrice freelance.

In media si tratta di realtà di piccole dimensioni, si conta che le imprese – con proprietario singolo e almeno un dipendente – gestite da una donna sono il 26,8% del totale e per oltre il 90% si tratta di imprese con meno di 5 dipendenti. Le donne si danno parecchio da fare e lo conferma anche il fatto che il tasso di natalità di imprese guidate da donne nel 2009 è stato del 13,7%, contro il 10,9% delle aziende guidate da uomini mentre il tasso di sopravvivenza a tre anni dalla creazione è stato del 37,6%, leggermente inferiore a quello delle imprese a guida maschile (37,8%). Tra i mercati dove le donne fanno maggiormente impresa ci sono quelli del commercio, dell’accoglienza e dei trasporti.

Le interpretazioni di questa notizia possono essere molteplici, ognuna a ragion veduta a partire dal fatto, per esempio, di quanto sia complicato conciliare lavoro e famiglia, oppure considerando che la politica del lavoro italiana non sia propriamente illuminata rispetto ad altre realtà non molto distanti da noi; o ancora che il tasso di disoccupazione femminile sia attualmente messo piuttosto male e in crescita. Fatti questi, che possono far sembrare l’intraprendenza imprenditoriale una necessità più che una “missione”. Ma preferisco leggere questa notizia a senso unico e prenderla così com’è, una classifica di cui essere entusiasti per lo spirito di iniziativa, l’intraprendenza, il coraggio e le idee che vengono investite per portare avanti una propria creazione. La leggo come un valore aggiunto rispetto alla tanto blasonata Germania, per citare una delle Nazioni che stanno alle nostre spalle, o al Regno Unito, dove le percentuali sull’imprenditoria rosa sono ben più basse.

Fonte: Panorama