altNavigano, chattano, sono campionesse dei videogiochi e non riescono a vivere senza cellulare. Colpa forse di vecchi luoghi comuni (“imbranate”, “poco portate”), le donne hanno impiegato più tempo degli uomini ad avvicinarsi alla tecnologia. Adesso però la scintilla è scoccata. Nel giro di tre anni, sono aumentate di oltre 2 milioni le bambine, le ragazze e le signore italiane che navigano su Internet e giocano con i videogame. Dal 2008 al 2009, inoltre, le donne con uno smartphone sono passate da 3,7 a 4,6 milioni. Musica per le orecchie delle aziende di elettronica e informatica, che nel femminile individuano una nuova appetibile fetta di mercato. Secondo l’agenzia Corbis (stime 2009) il giro d’affari delle tecnologie rosa ha già raggiunto i 55 miliardi di dollari. Ed è destinato ad aumentare.

Nella telefonia, il femminile viene associato soprattutto al colore e agli accessori (di tendenza il bianco e auricolari particolari come quelli Nokia da agganciare alla collana). E mentre “mini” è la parola d’ordine del notebook al femminile – piccolo e leggero per stare in borsetta (nessuno dei modelli più recenti è lungo oltre 27cm e pesa più di 1,3 kg) – rosa e bianco, ancora una volta, sono i colori dominanti.
 
Ma “attenzione, non siamo solo un colore”. Se non si va oltre le tonalità del rosa e un design gradevole, il boom di prodotti dedicati alle donne potrebbe diventare un autogol. La pensa così Gianna Martinengo, imprenditrice e ideatrice della conferenza internazionale Women&Technologies. “Limitare il femminile all’aspetto estetico rischia di essere riduttivo, addirittura offensivo” commenta. Soprattutto perché non contribuisce ad abbattere “i troppi luoghi comuni di cui il binomio donne-tecnologia è già prigioniero”. Primo tra tutti quello di un mondo femminile “spaesato” di fronte all’elettronica e all’informatica, capace di fruirne “solo a un basso livello di complessità”. “Se godono delle stesse opportunità, invece, uomini e donne possiedono fin da piccoli identiche abilità”.
 
 
Fonte e articolo integrale: Corriere della Sera
(pubblicato il 23 gennaio 2010)