Nell’era del web e dei social media, re del marketing è divenuto il settore digital. Il marketing digitale tradizionale utilizza elementi semplici ma potenti, come l’email, la pubblicità online, i blog e i siti.

Ma che direzione sta prendendo? Quali sono gli sviluppi e le prospettive del campo? La risposta risiede in tre elementi: emozioni, Big Data e Internet delle Cose.

La fine della SEO?

Fino a poco tempo fa, uno dei capisaldi su cui si basava il marketing digitale era la Search Engine Optimization: garantire al proprio prodotto di essere tra i primi risultati dei più usati motori di ricerca.

Per fare ciò si spingeva l’acceleratore su degli elementi “tecnici” che permettevano ai propri contenuti di scalare le classifiche in particolare di Google Search.

Di recente, però, Google ha migliorato il suo algoritmo, permettendo una risalita principalmente a quei siti che si concentrano sulla qualità dei contenuti proposti e sull’interazione social con i propri clienti e i propri contatti.

Non si tratta, però, della fine della SEO, quanto di un suo affiancamento con strumenti più raffinati, che tengono conto dell’attuale esplosione social nel panorama del marketing digitale.

In campo le emozioni

Quello che è certo, infatti, è che ha assunto grande importanza l’interazione con l’utente, fare leva sulle sue emozioni, sui suoi gusti, sul suo carattere. Si parla di marketing esperienziale e delle emozioni, di personalizzazione dell’esperienza di acquisto e, ovviamente, di social media marketing. E si connettono tutti questi argomenti con studi specifici che si collegano alle neuroscienze.

Nella massa informe di stimoli e messaggi in cui il consumatore si trova immerso, la necessità principale è quella di sentirsi pensati, di distinguersi, di poter scegliere un prodotto unico e personalizzato, proposto attraverso un messaggio che tocchi le corde del coinvolgimento emotivo.

Quello che conta sono i dati

Ma come si fa a conoscere il proprio consumatore così bene da poterne indovinare gusti e preferenze in un determinato campo, su un determinato prodotto?

Semplice. Con i milioni di dati che la rete giornalmente colleziona e registra su di noi e sul nostro modo di usare il web.

È il più spicciolo targeted marketing elevato all’ennesima potenza, grazie ai dati che un’azienda può reperire attraverso ricerche effettuate, storici di acquisti, video visti e caricati su Youtube, post e like su Facebook, tweet, pin e così via.

Una banca dati, praticamente infinita, ricca e quotidianamente aggiornata che ha portato John Rampton, fondatore di Adogy, a dichiarare: “il futuro del marketing digitale non siamo noi, ma i dati. I dati ci dicono tutto quello che accade dietro le quinte senza che nemmeno ce ne accorgiamo”.

L’Internet delle Cose

Ma non sono solo i social in tutte le loro declinazioni e il mondo virtuale a dire chi siamo, cosa compriamo, cosa vogliamo. C’è un universo potente e in espansione al centro degli interessi delle aziende più all’avanguardia: l’Internet delle Cose, un’altra gallina dalle uova d’oro per raccogliere informazioni tanto accurate sui consumatori da anticiparne addirittura i bisogni.

L’Internet delle Cose consiste nel collegamento tra gli oggetti che ci circondano – tv, lavatrici, mobili, persino piante – e il web, attraverso dei sensori che trasmettono informazioni per ottimizzare servizi e funzioni.

Un esempio? Una sveglia che suona in anticipo perché ha rilevato che quella mattina c’è traffico. Tutto ciò che ci circonda, quindi, potrebbe dire moltissimo su di noi e fornire alle aziende i dati necessari per indagini di mercato estremamente accurate.

E la privacy?

In questo calderone di dati, informazioni, interazioni e messaggi, proteggere la privacy degli utenti diventa ancora più difficile. Non si tratta solo di permettere, volontariamente o involontariamente, ad aziende e produttori l’accesso ai nostri dati.

Il problema è che le aziende in questione non sempre sono responsabili al cento per cento della natura, della provenienza e della gestione dei dati che registrano e analizzano. Non si è persino in grado di quantificare il numero e il tipo di dati che sono in circolazione.

Non resta, quindi, che sviluppare la legislazione in merito, di pari passo con l’evoluzione di un mercato digitale sempre più capillare, potente, e di non facile gestibilità.

 

Fonte: Wired- Daniele Virgillito