altSiamo fermi al 2005 per livelli di produttività del lavoro. La svolta è in quattro azioni: scuola digitale, accompagnamento alla professione, formazione continua, zero digital divide culturale. Basta sperimentazioni, serve un programma nazionale per rinnovare le competenze degli italiani.

L’Italia è rimasta sostanzialmente ferma al 2005 in termini di produttività del lavoro. Come si può agire per far scaturire la crescita economica proprio dalla produttività del lavoro? Bisogna agire sul capitale umano. Quattro sono le linee prioritarie d’azione: scuola, transizione al lavoro, formazione continua, inclusione digitale.

Dal punto di vista della azioni sulla scuola, è certamente positivo lo stimolo dato dal Decreto Profumo sull’adozione dei libri di testo digitali. Tuttavia, è fondamentale non cadere nel pregiudizio ideologico tale per cui qualsiasi innovazione sia utile. L’attuazione dell’agenda digitale nella scuola deve essere volta ad aumentare le possibilità di conoscenza da parte degli studenti e la qualità della formazione per gli insegnanti. Per questo, per quanto riguarda gli insegnanti, vanno previsti specifici programmi formativi sull’utilizzo degli strumenti informatici. Importante è poi dotare tutti gli edifici scolastici di connessioni  a banda larga e di tutta la tecnologia sufficiente, in termini di computer e dispositivi mobili. Non da ultimo, vanno progettate e implementate sempre più le piattaforme condivise per l’e-learning.

 

Per quanto riguarda la transizione scuola-lavoro, va rilevato che esiste un lungo elenco di professioni, secondo un’indagine Unioncamere, per cui è difficile trovare laureati qualificati. Si va dal progettista di sistemi informatici al consulente software, passando per programmatori, analisti, sviluppatori e via dicendo. Nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione perfino il Presidente Obama ha auspicato un maggior ricorso al modello di apprendistato tedesco su cui anche l’Italia sta cercando di riorientare l’offerta formativa e I percorsi scuola-lavoro. I giovani tedeschi che escono dalla scuola secondaria superiore hanno già una “certificazione” tecnica di base simile a quella che i ragazzi ricevono nei college americani. Un esperimento simile lo sta facendo la scuola P-Tech di Brooklyn dove una collaborazione tra le scuole pubbliche, l’Università di New York e l’IBM permette ai ragazzi di diplomarsi ed avere contestualmente una certificazione in computer e ingegneria.

Anche in Italia sono in corso sperimentazioni lasciate alla buona volontà di qualche preside e delle associazioni di informatica, ma non basta. Occorre superare la fase della sperimentazione volontaristica e passare ad un grande progetto strategico in partnership con il privato, specie nel settore ICT, che contribuisca a risolvere i problemi dell’alto tasso di abbandono scolastico, della disoccupazione giovanile e del fenomeno dei giovani senza istruzione né lavoro (NEET).

Esiste poi un enorme problema di riqualificazione della forza lavoro nel dopo crisi. Occorre promuovere con i Fondi interprofessionali per la formazione continua (come Fondimpresa e Fondirigenti) un grande piano di per il reinserimento lavorativo, legato alle competenze digitali e basato su linee di aggiornamento per i dipendenti e i dirigenti delle PMI che vogliano investire nella digitalizzazione (si veda l’European e-Competence Framework).

Va, inoltre, strutturato un sistema di formazione continua. Serve un piano dedicato per l’aggiornamento degli oltre 3 milioni di dipendenti della PA: secondo alcune stime il costo legato all’ignoranza informatica incide sulla spesa pubblica corrente per mancata produttività per 8 miliardi di euro.

Esiste anche un problema di certificazione delle competenze. Il decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, potrebbe trasformare la validazione e certificazione delle competenze in un processo burocratico-amministrativo. Il rischio è che gli operatori del mercato del lavoro si trovino a valutare le competenze delle persone in relazione a standard pubblici definiti in modo autoreferenziale dalle burocrazie a livello nazionale e regionale. Si tratta di passo indietro rispetto alle linee-guida del 2010 che si esprimevano in termini di esiti e qualità dei percorsi formativi, a prescindere dalla natura giuridica dei soggetti erogatori e dalle sedi dell’apprendimento, e non in termini di titoli e certificati pubblici.

Per ciò che concerne il digital divide, infine, va precisato che esso è fortemente correlato all’invecchiamento della popolazione. Per contrastarlo, si può procedere con alcune iniziative di tipo formativo, sulla base della collaborazione fra pubblico e privato: inserire nel contratto di servizio pubblico RAI programmi televisivi specifici di formazione insieme a trasmissioni divulgative; promuovere la creazione di punti di accesso pubblici assistiti sul territorio; creare piattaforme di accesso semplificato ai servizi PA, Banche, Poste, Trasporti; favorire gli scambi tra generazioni nelle scuole.

Per tutte le azioni volte ad investire in formazione e capitale umano per il rilancio dell’economia attraverso l’attuazione dell’agenda digitale, è necessario realizzare un piano strategico complessivo che ponga al centro la partnership pubblico-privato. 


Fonte: Agenda digitale