Dalla banda larga all'e-commerce, l'analisi del Digital Advisory Group.

Che l'Italia, sul piano degli investimenti legati a Internet e dell'alfabetizzazione digitale sia indietro rispetto a molti paesi europei, non è certo una novità. Basti pensare alla tragicomica vicenda dei fondi destinati alla banda larga, prima strombazzati poi assottigliatisi fin quasi a scomparire. O alla scarsa dimestichezza delle aziende tricolori con la promozione su Internet e l'e-commerce.

O alla fuga dei cervelli che saprebbero davvero trarre profitto dal digitale, ma non vedono il motivo di restare in una nazione che li sottopaga e non li valorizza. La buona notizia è che negli ultimi tempi stanno nascendo tutta una serie di movimenti volti a incentivare l'innovazione nella pubblica amministrazione e nel privato. Da Wikitalia, il cui focus è sull'accessibilità e l'utilizzo dei dati pubblici, al Digital Advisory Group (Dag) , un insieme di 30 aziende e Università che ha appena partorito (in collaborazione con McKinsey) il rapporto  "Sviluppare l'economia digitale in Italia: un percorso per la crescita e l'occupazione": cinquantotto pagine fitte fitte dove vengono analizzati tutti i mali derivati dalla mancata modernizzazione digitale del Paese e vengono proposti dodici rimedi per uscire dall'impasse. Gli ostacoli principali sono cinque: insufficiente accesso alla banda larga, scarsa propensione all'e-commerce, limitata divulgazione dei servizi online della pubblica amministrazione, limiti nel quadro normativo e la carenza di competenze digitali. Nonostante abbia contribuito alla creazione di 700.000 posti di lavoro in Italia, negli ultimi 15 anni, il contributo di Internet al Pil nazionale è ancora fermo al 2%, lontano dal 5% di Svezia e Regno Unito e molto al di sotto della media Ocse.

Ne abbiamo parlato con Luca Cassina, responsabile di PayPal per l'Italia, con un focus particolare sulle difficoltà nel campo dell'e-commerce – settore di cui la società di Peter Thiel è un tassello ormai quasi imprescindibile – e su quelle che potrebbero essere le prospettive di crescita future.

Quali sono le aziende che fanno parte di Dag e perché avete deciso di costituire questo gruppo?
Si tratta di un insieme eterogeo che comprende tre Università italiane (lo Iulm, il Politecnico Torino e la Bocconi), colossi come Google, Microsoft e Telecom, banche come Banca Sella. Mc Kinsey, ma anche aziende molto più piccole. Ci siamo chiesti come potevamo fare sistema e aiutare a sensibilizzare opinione pubblica e decisori sul fatto che da Internet non vengono soltanto pericoli e fregature, ma anche e soprattutto grandi opportunità per la creazione di posti di lavoro e la crescita dell'economia.
Il primo passo è questo studio, ora pensiamo a mettere in campo azioni concrete, come l'organizzazione di road show regionali per incentivare le Pmi a superare la diffidenza verso il digitale.

Uno dei punti dolenti che emerge dal rapporto, è la scarsa propensione all'e-commerce degli italiani dovuto anche a peculiarità culturali del nostro Paese, in cu si ha poca fiducia nelle transazioni online. Secondo lei come si possono superare queste barriere?
In realtà in Italia non siamo poi così tanto indietro. È vero che l'e-commerce italiano rappresenta solo lo 0,7 del Pil (contro l'1% francese e il 3% britannico n.d.r.), ma ci sono pur sempre alcuni milioni di utenti che acquistano online. E, per alcune categorie di beni, come quelli legati all'elettronica, la percentuale di vendita online raggiunge il 5% del totale. Inoltre, il nostro è un mercato anomalo in cui si vendono online più facilmente servizi che merci. Vanno molto bene, per esempio, le assicurazioni online, che in altri Paesi anche vicini come la Francia, si preferiscono ancora stipulare in agenzia. O le ricariche telefoniche. Le cose comunque stanno cambiando in maniera assai rapida e i consumatori si stanno adattando più velocemente delle aziende. La crisi degli ultimi anni ha spinto gli internauti verso l'online per i prezzi più bassi; da qui il boom di molti siti di vendita privata o di couponing e offerte speciali. La cosa bizzarra, per un paese fortemente esportatore come il nostro, è che i navigatori usano molto spesso l'e-commerce per comprare all'estero. Ma il motivo è molto semplice: sui siti italiani non trovano il prodotto che stanno cercando.

C'è anche un problema di arretratezza tecnologica delle piattaforme di vendita online? E quanto incide la burocrazia?
Non direi, i siti italiani come user experience sono allo stesso livello di quelli stranieri. Anche la burocrazia non è più complicata che altrove. C'è stata più che altro una difficoltà di tipo culturale da parte delle aziende o magari anche un senso di inadeguatezza. Del resto siamo un paese in cui la anche vendita per corrispondenza non ha mai attecchito più di tanto; si è sempre preferito il negozio di prossimità.

E per quanto riguarda il timore di venire derubati dei propri dati bancari o del numero della carta di credito? Pesa tutt'ora nei comportamenti di chi vorrebbe acquistare, ma non lo fa?
Certo, la preoccupazione per la sicurezza c'è sempre, ed è la stessa che in ultima analisi ha favorito lo sviluppo di PayPal, e grazie a cui siamo arrivati ad avere 5 milioni di utenti registrati in Italia. Tuttavia si tratta di una preoccupazione non sempre facilmente identificabile, e non tipica soltanto del Bel Paese.

Non crede che vicende come quella di Wikileaks, "strangolato" finanziariamente per l'incapacità di raccogliere pagamenti online, e più di recente, di Diaspora, che pure è stato bloccato da PayPal, scoraggino molte aziende ad affidarsi per le transazioni alla "nuvola" per paura che da un momento all'altro chi le ospita possa decidere di chiedere i rubinetti?
Quello di Wikileaks è un caso un po' particolare, in cui si intrecciano motivazioni politiche ed economiche. In generale, non credo che esista questo tipo di problema. Non siamo in un regime di monopolio, ci sono ad esempio molte società no-profit che hanno scelto PayPal per raccogliere le donazioni, ma le alternative non mancano. In Italia, fra l'altro, qualsiasi grande banca dispone di un suo circuito per pagamenti con carta di credito.

Il futuro è nei pagamenti in mobilità via cellulare?
Certamente c'è grande attesa per questo tipo di opzione. Lo abbiamo notato anche di recente, quando abbiamo lanciato un aggiornamento della nostra applicazione per pagare con l'iPhone le aste su eBay. Se prima bisognava concludere la procedura recandosi sul sito, ora abbiamo dato la possibilità di effettuare il checkout in mobilità e abbiamo notato subito un forte apprezzamento e utilizzo da parte dei consumatori. Tale procedura non si presta comunque per tutte le tipologie di prodotto; ci sono merci che necessitano di immagini di grandi dimensioni impossibili da visualizzare sul ristretto schermo di un cellulare. Entro cinque anni penso che la percentuale di pagamenti via cellulare potrebbe raggiungere il 10% del totale. Specie per particolari tipologie di acquisto, come il pagamento del parcheggio o del biglietto della metropolitana.

Fonte: La Stampa