Parità non significa uguaglianza. Non sempre, almeno. È il caso, per esempio, della medicina. Ormai da qualche anno si sta finalmente facendo strada la consapevolezza che maschi e femmine non si ammalano allo stesso modo, che rispondono in maniera diversa alle terapie e che perciò bisogna tenere conto delle differenze sia quando si decidono le cure sia quando si fa ricerca.

Dell’argomento si è parlato giovedì 31 ottobre all’Istituto superiore di sanità a Roma nel convegno “La salute di genere: una proposta per il futuro” al quale hanno preso parte, oltre ai nostri massimi conoscitori della materia, anche due tra le più importanti esperte mondiali, vale a dire Ineke Klinge, dell’Università di Maastricht, e Londa Schiebinger, dell’Università di Stanford

Una stessa malattia che colpisce sia l’uomo sia la donna può presentare nei due casi una sintomatologia, un decorso, una prognosi e una risposta farmacologica differenti. Questo perché l’uomo e la donna sono biologicamente diversi: metabolismo diverso, differente distribuzione della massa corporea, suscettibilità agli effetti collaterali totalmente diversa, importanti differenze dal punto di vista ormonale. Non si tratta più, come avveniva nei vecchi corsi di Medicina, di studiare patologie esclusivamente “femminili”, che colpiscono cioè mammella, utero, ovaie, ma di andare oltre e prendere atto delle oggettive differenze esistenti tra i due sessi.

Quella che fino a non molti anni fa ha orientato ricerca biomedica e terapia è stata una «cecità di genere», ha detto Luca Pani, direttore dell'Agenzia del farmaco (Aifa), che ha rilevato «l'inadeguatezza della metodologia utilizzata nelle sperimentazioni cliniche», essenzialmente focalizzate sugli uomini. Quest’ultima considerazione, ha precisato Pani, risulta evidente da due elementi: «la sottorappresentazione della componente femminile» nei trial di ricerca e «l'assenza di un'adeguata analisi di genere dei dati ottenuti». Perciò l'Aifa ritiene utile «sensibilizzare le aziende farmaceutiche che presentano dossier di registrazione di nuovi medicinali a effettuare anche l'elaborazione dei dati disaggregati per genere – ha concluso il direttore dell’Agenzia - in maniera tale da evidenziare eventuali differenze» di risultati nei due sessi.

D’altra parte è evidente che molte malattie (come quelle reumatiche, le autoimmuni e le psichiatriche) colpiscono di più la donna; oppure si manifestano e hanno un decorso diverso rispetto all’uomo. Quindi, innanzitutto è importante scoprire le cause e le differenze nei meccanismi patogenetici (da qui l’importanza anche della ricerca fondamentale e traslazionale) e poi lavorare sull’appropriatezza delle cure, cioè sul disegno di protocolli diagnostici e terapeutici personalizzati in funzione del genere.

Un esempio ormai “di scuola” è quello delle malattie cardiovascolari, che si presentano più tardivamente nella donna rispetto all’uomo, forse a causa della perdita dell’effetto protettivo degli estrogeni, ma la cui mortalità è molto maggiore nelle donne; come maggiori e più gravi nelle donne sono le sequele dopo il primo infarto.

Molti aspetti della Medicina di genere sono stati affrontati dai ricercatori dall’Iss, che già dal 2007 ha attivato una struttura ad hoc che si occupa delle differenze biologiche, e contemporaneamente ha coordinato il Progetto strategico salute donna (2008-2012), finanziato dal ministero della Salute, che ha coinvolto 25 Unità operative sul territorio nazionale

Adesso «l’intenzione è quella di creare un gruppo di lavoro sull’appropriatezza delle cure - spiega Stefano Vella, direttore del Dipartimento del farmaco dell’Iss - che abbia un occhio attento alle problematiche di genere e abbia il compito di contribuire sia alla ricerca di base che a quella clinica su questo argomento, in collaborazione con il ministero della Salute, l'Aifa, l'Agenas e con le Regioni, ma anche quello di monitorare che le evidenze scientifiche e le direttive comunitarie in tema di salute della donna siano applicate su tutto il territorio nazionale, affinché il nostro sistema sanitario mantenga l'alto e universalmente riconosciuto grado di efficacia, efficienza ed equità».

Fonte: Health Desk