Riporto di seguito la traduzione dell’articolo a firma di Ariel Swartz, intitolato “The collaborative Economy is exploding, and brands that ignore it are out of luck”. Qui il testo originale.

La cosiddetta “economia collaborativa” sta avanzando, perché sempre più persone decidono di condividere i propri beni, servizi, fondi, trasporti e altro ancora. E i marchi che non si adatteranno presto a questo nuovo fenomeno rischiano di rimanere indietro.
Questo è il succo di “Sharing is the New Buying”, un’occhiata su larga scala a tutti i soggetti coinvolti nell’economia collaborativa. Una collaborazione tra il marchio Crowd Companies,Jeremiah Owyang, and Vision Critical, una piattaforma online dedicata alle comunità di consumatori. Una ricerca condotta tra più di 90.000 persone in Usa, Gran Bretagna e Canada, per capire come e perché le persone partecipano a questo movimento in continua crescita.

Il primo passo in questa analisi consiste proprio nel dare una definizione al termine “Economia collaborativa”. Owyang, un analista industriale di lunga data, la definisce come il risultato della convergenza di tre idee: la “sharing economy” (economia della condivisione), il movimento maker e i movimenti di co-innovazione. Una definizione ovviamente ampia, che spazia dal ridesharing (cioè la condivisione di veicoli) alla stampa 3D, al crowdsoourcing per nuovi prodotti. “La grande tendenza consiste nel fatto che le persone hanno il potere di controllare il mondo fisico attraverso la collaborazione reciproca, anziché tramite l’acquisto da marchi”.
Secondo lo studio, ci sono tre categorie di persone nell’economia collaborativa: quelli che non condividono, quelli che ri-condividono e i neo-condivisori.
I primi non sono ancora stati coinvolti in questo nuovo tipo di economia, ma manifestano l’intenzione di farlo entro il prossimo anno. Rientra in questa categoria il 60% della popolazione negli USA e in Canada, ed il 48% nel Regno Unito.
I ri-condivisori utilizzano servizi ormai consolidati come eBay e Craiglist per acquistare e vendere beni; sono il 16% negli Usa e in Canada, e il 29% nel Regno Unito.
Infine ci sono i neo-sharers, persone cioè che usano servizi come UberAirbnbKickstarter eTaskrabbit. Ed è una fetta di popolazione considerevole: circa il 25% in tutti i paesi.
I condivisori hanno sicuramente dei tratti in comune. Quasi la metà hanno un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, e quasi tre quarti di essi utilizzano i social network e sono tendenzialmente di condizione agiata. Ma questi dati, in qualche modo ovvi sul piano demografico, non raccontano tutta la storia.
“Se pensi alla sharing economy, subito viene in mente l’immagine di un fricchettone di Brooklyn [il termine originale è “Brooklyn hipster image”, n.d.t.]. Pensi al tizio vegano che non possiede una macchina e si sposta con una bicicletta presa da un servizio di bike-sharing, e che non usa gli hotels e tutto il resto. E invece salta fuori che i condivisori sono persone estremamente comuni” spiega Alexandra Samuel, vice presidente di Vision Critical.

Quasi il 30% dei neo-condivisori negli USA hanno un reddito tra i 50.000 e i 100.000$, in linea con la maggioranza della popolazione. E mentre certi servizi, come la condivisione di veicoli, sono l’ideale per le città più popolate, Owyang ritiene che l’economia collaborativa offra molte possibilità anche agli abitanti dei sobborghi e delle campagne. Siti come elance, oDesk o eBay possono essere usati ovunque.
Ecco alcuni dati che emergono dall’indagine:

  • molte persone scelgono di condividere per un fatto di convenienza e di prezzo, non per uno spasmodico desiderio di vivere in modo sostenibile. Tuttavia, associano concetti come sostenibilità e comunità ai servizi di condivisione più che con i negozi tradizionali
  • i centri urbani hanno più possibilità di ospitare persone che hanno preso a prestito o prestato veicoli e denaro, ma questo in parte può essere spiegato col fatto che nei centri urban abitano più persone tra i 18 e i 34 anni che nelle periferie o in campagna.
  • I neo-condivisori potrebbero raddoppiare entro un anno, perché c’è un eguale numero di persone che sono “entrate nel giro” di recente o che hanno intenzione di farlo, in tutte le categorie in cui si pratica la condivisione (trasporti, denaro etc.)
  • I neo-condivisori difficilmente hanno una casa o sono sposati, ma spesso hanno figli. E sono anche un po’ più progressisti del resto della popolazione (negli USA il 39% dei neo-sharers sono Democratici, rispetto al 34% dei non-sharers e il 29% dei re-sharers)
  • Più del 90% dei condivisori intervistati consiglia l’utilizzo dei servizi utilizzati

Ci sono alcune ragioni che spiegano il perché di questa crescita così rapida dell’economia collaborativa negli ultimi anni.
La diffusione degli smarpthone e la conseguente facilità di accesso alla Rete ha certamente aiutato questo tipo di fenomeno a diffondersi tanto rapidamente. Inoltre, la crisi ha spinto molte persone a sperimentare nuovi servizi che hanno permesso di risparmiare denaro, come Airbnb e Lendig Club. Infine, il movimento è stato spinto da un generale cambiamento della società, orientato verso le città più popolose, e una generale disillusione dei consumatori.

Fonte: Kentstrapper