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Mercoledì, 23 Aprile 2014 07:20

Se le modalità di telelavoro fossero applicate a 1,3 milioni di lavoratori, rispetto agli attuali 3/400.000 potremmo ottenere un recupero di circa 4 miliardi di euro all'anno (un quarto di punto di punto del Pil), corrispondente all'Imu della prima e seconda casa o al 15% del piano di recupero costi del Commissario Cottarelli.

Da qualche anno Federmanager sta portando avanti una serie di iniziative con lo scopo da un lato di fotografare la situazione nazionale del “telelavoro” in riferimento alle altre esperienze internazionali e dall’altro nell’intento di stimolare, anche nel nostro Paese, l’adozione di modelli innovativi di lavoro attraverso l’abbattimento di barriere culturali e tecnologiche.

Negli ultimi tre anni abbiamo vissuto: quattro crisi di Governo, lo spread a oltre 550 punti rispetto ai bond tedeschi, la disoccupazione al 12.5 %, un milione di disoccupati sotto i trenta anni pari al 42% della popolazione di riferimento con punte del 65% nelle Regioni del Sud Italia, l’emigrazione intellettuale in crescita esponenziale verso le nazioni del Nord Europa e dell’Est, la cancellazione di oltre 500 mila partite IVA, la creazione di almeno 250 mila esodati attualmente in cerca di pensione o ricollocazione, il tentativo di recupero di risorse derivanti da un’evasione fiscale stimata in circa 150 miliardi all’anno. Il primo tentativo di recupero di risorse attraverso la cosiddetta spending  review, 3 o 4 miliardi, da parte del commissario Bondi. Senza esito. Il secondo tentativo previsto dalla legge di stabilità del valore stimato di 35 miliardi di euro affidato alla gestione del commissario Cottarelli.

In molti si chiederanno che cosa c’entri il “telelavoro” ovvero l’utilizzo di soluzioni/modalità innovative di sviluppo dell’attività professionale rispetto agli indicatori elencati. Ebbene quello che stiamo sostenendo con forza e continuità è che l’adozione di dette modalità avrebbe, come risultato, quello di contribuire in modo sensibile alla riduzione dei costi della “macchina statale” e del mondo delle imprese, all’innalzamento dei livelli di produttività, alla contrazione dei costi sociali, alla stabilizzazione di posizioni lavorative precarie e/o a rischio di licenziamento.

Pensiamo alla contrazione dei costi per effetto della riduzione del patrimonio immobiliare e della relativa gestione e manutenzione. E’ stato calcolato che i livelli di produttività si incrementerebbero del 20/30% rispetto agli standard attuali (minori assenze e minore assenteismo) criteri di valutazione basati sui risultati e non sulla presenza, un rilevante abbattimento dei livelli di intasamento urbano, minore utilizzo di mezzi di trasporto privati e conseguente migliore efficienza e qualità di quelli pubblici, riduzione sensibile di produzione di agenti inquinanti, riduzione dell’incidentalità (malattie, invalidità…), riduzione dei costi di assistenza familiare ( minori, anziani…), utilizzo di maggiore disponibilità di tempo da dedicare alla propria sfera privata, riduzione dei costi per la manutenzione e gestione del patrimonio urbano.

Si usa ormai da troppo tempo il termine “esubero”; è diventato il termine con il quale aziende pubbliche e private pensano di mettere in ordine il proprio conto economico ; riteniamo che un diffuso utilizzo di modalità di telelavoro possa contribuire a far recuperare posti di lavoro o almeno possa frenarne la continua emorragia. Si tratta di mettere in campo politiche a sostegno di una indispensabile innovazione di processo e mettere all’angolo le riserve e le reticenze culturali che hanno relegato, anche in questo settore, il nostro Paese all’ultimo posto nello scenario europeo. Analizziamo qualche dato significativo; la percentuale di utilizzo di telelavoro in Italia è pari a circa l’1.5% della popolazione dei lavoratori dipendenti (circa 18 milioni di cui oltre4 nella PA), la media europea è al 7.5% con punte del 20% nei paesi del nord Europa. Si è calcolato che l’economia di scala ricavabile per ogni unità in telelavoro è di circa 4000 euro all’anno in modo stabile e crescente in ragione del numero delle risorse impiegate, i benefici che ne deriverebbero andrebbero per il 30% a vantaggio delle aziende pubbliche o private, per il 40% come minori costi sociali e per il resto a favore del dipendente.

Da questi dati è facile capire che se le modalità di telelavoro fossero applicate ad 1,3 milioni di lavoratori, rispetto agli attuali 3/400.000 potremmo ottenere un recupero di circa 4 miliardi di euro all’anno (un quarto di punto di punto del Pil), corrispondente all’Imu della prima e seconda casa o al 15% del piano di recupero costi del Commissario Cottarelli.

Abbiamo valutato che i tempi tecnici di attuazione di un programma come quello indicato si aggirerebbero tra i 12 e i 18 mesi con investimenti in tecnologie abilitanti, adeguamenti infrastrutturali e formazione pari a circa il 15% dell’importo complessivo del risparmio calcolato, recuperabile già nel primo anno di applicazione del piano di sviluppo; ossigeno, tra l’altro, per il comparto dell’ICT che perde ormai da oltre un decennio il 3% all’anno di quote di mercato in termini di volumi e valore.

La tecnologia è disponibile e lo sono anche le soluzioni e i sistemi chiamati a garantire i livelli di sicurezza e riservatezza , ma allora cosa manca per far fare, anche al nostro Paese, quello scatto che tutti gli altri hanno già fatto?

Pensiamo che due siano le cose fondamentali.

La prima è quella di poter contare su una piattaforma abilitante che consenta di utilizzare con efficacia tutti gli strumenti di comunicazione e trasmissione dati che sono alla base di una moderna società che si basa, sempre più, sull’erogazione e fruizione di cosiddetti servizi a valore aggiunto.

Standardizzazione, interoperabilità, razionalizzazione e apertura delle banche dati; ma questo è quello che crediamo sia disponibile attraverso lo sviluppo del piano dell’Agenda Digitale attuato dallo strumento operativo rappresentato dall’Agenzia a tale scopo varata e finalmente resa operativa attraverso l’approvazione del relativo statuto.

La seconda è quella di poter usufruire di una serie di provvedimenti legislativi che facciano uscire la parola “telelavoro” dallo schema mentale che si stia parlando del lavoro per “diversamente abili” ovvero per categorie protette o ancor peggio per attività di scarso contenuto professionale.

Federmanager, la federazione dei Dirigenti di Aziende Industriali si mette alla testa di una rivoluzione culturale che vuole affermare il principio che in una moderna società le modalità di telelavoro nonsono legate alle categorie professionali e/o ai livelli categoriali; sono l’applicazione di soluzioni innovative tecnologiche e di processo indispensabili per ottenere la migliore efficienza in termini di produttività e più elevati livelli di qualità della vita.

 

Fonte: Agenda Digitale-Guelfo Tagliavini, Federmanager