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Mercoledì, 19 Febbraio 2014 15:56

Due ore di tempo libero in più al giorno. È questa la differenza (abissale, nelle nostre giornate frenetiche in cui corriamo per riuscire a mettere insieme tutto) tra il lavoro “tradizionale” e lo smartworking. L’evoluzione, insomma, di quello che una volta si chiamava telelavoro ma che oggi non si riassume semplicemente nel “lavoro da casa anziché in ufficio”. Chi fa smartworking può decidere dove lavorare in base alle esigenze produttive. E sentirsi libero di farlo.

“Si tratta di una vera e propria rivoluzione”, ha sottolineato Barbara Stefanelli, vicedirettrice del Corriere della Sera, durante il panel dedicato al “Telelavoro ai tempi dei social media” tenutosi alla Social Media Week di Milano. Con il blog al femminile La 27esima ora il Corriere ha portato avanti una campagna di sensibilizzazione relativa proprio allo smartworking, e nel corso della conferenza sono stati discussi ed analizzati punti positivi e criticità del tema. Per questo è importante, come ha ricordato Stefanelli, “fare in modo che questa rivoluzione sia virtuosa e positiva, eliminando il rischio di essere travolti dalla novità”.

Uno dei rischi principali è ridurre il dibattito al lavoro femminile. Per Alessia Mosca, capogruppo Pd alla Commissione politiche europee e promotrice della proposta di legge sullo smartworking in Italia, “il lavoro agile deve diventare un modello per tutti, sia donne che uomini. Ricordiamoci che aiuta il lavoratore e non diminuisce le sue tutele, né indebolisce la sua posizione rispetto all’azienda”. Anche Rita Querzé, giornalista del Corriere della Sera, nel suo intervento ha posto l’accento sulla flessibilità del lavoro, “che in questo caso va a vantaggio del dipendente. E migliora i risultati, perché in questo modo i lavoratori vengono valutati solo per ciò che fanno e per gli obiettivi che riescono a conseguire”.

Senza dimenticare “la qualità della vita: non bisogna ridurre lo smartworking a diatriba tra macchinetta del caffè o lavatrice, ma ricordare si discute della capacità di autodeterminazione dei lavoratori”, come ha spiegato invece Chiara Bisconti,assessore al Comune di Milano.

Secondo Paola Cavallero, manager Nokia, al centro del dibattito più che la tecnologia “deve esserci un certo tipo di cultura. Altrimenti si rischia di confondere la troppa flessibilità con il lavoro sempre e comunque. E si finisce a inviare email di lavoro a mezzanotte”. Ma a riassumere il concetto e le criticità è Monica Fabris, sociologa: “lo smartworking è una sorta di palinsesto individuale, in cui ciascuno inserisce le proprie preferenze. Ma il rischio è che il risultato sia disomogeneo”.

Fonte: Corriere della Sera