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Venerdì, 09 Marzo 2012 13:57

In vista dell'8 marzo la direttrice di Newsweek invita premi Nobel e Oscar alla battaglia sul ruolo delle donne. E non risparmia critiche a Michelle Obama ("First Lady ai domiciliari") e a Hillary Clinton ("Il suo tempo è passato")

NEW YORK - Michelle Obama? Una first lady ai domiciliari. Hillary Clinton? Il suo tempo è passato. Sarah Palin? Una donna al di sotto del suo ruolo. Tina Brown dice cose terribili con quel sorriso che nasconde pensieri poco politicamente corretti. Eppure, spiega alla vigilia della celebrazioni che si avviano in tutto il mondo, così le donne stanno cambiando l'America: e non solo. 
Gonna oltre il ginocchio e chiodino color panna, la prima "direttora" di Newsweek non smette mai di tenere sotto controllo al di là della porta di vetro, qui nella nuova sede disegnata da Frank Gehry con doppio affaccio sull'Hudson e l'Empire State Building, la sua "bestia". E cioè i 140 giornalisti che costruiscono Newsweek e The Daily Beast, il sito da lei fondato e portato alla fusione col vecchio magazine che adesso, dice, "si sta riprendendo nel più meraviglioso dei modi. E proprio grazie al Beast e all'energia del web: perché è giusto che oggi sia così". 
La signora che ha già reinventato Vanity Fair e il New Yorker, tre anni fa ha deciso che era giusto anche smetterla di sbandierare la questione femminile come fosse un affare di donne: e ricordare, soprattutto ai maschietti, che è "una questione di diritti umani". Per questo ha lanciato "Women in The World", il summit che dall'8 all'11 marzo raccoglierà a New York il premio Nobel per la pace Leymah Gbowee e il premio Oscar Meryl Streep, il presidente del Fondo monetario Christine Lagarde  e la numero due di Facebook  Sheryl Sandberg. E poi Angelina Jolie, Chelsea Clinton, Barbara Bush...

Donne che parlano di donne?
"Sgombriamo subito l'idea delle donne che si parlano addosso, femminismo vecchia maniera. Qui siamo prima di tutto giornalisti: cerchiamo storie. Mia figlia, Isabel, ha 21 anni. Se le chiedi: ti interessa quello che succede in Liberia?, la risposta sarà: No! Ma se dici: ti presento questa donna eccezionale, Leymah Gbowee, che da sola ha dato il via a un movimento che ha cacciato Charles Taylor, il dittatore...".

E se non basta ci sono le dive di Hollywood.
"La cosa fantastica è che la gente viene per Angelina Jolie e poi le vere star sono queste donne che nessuno conosce. Storie incredibili di traffici sessuali. Donne private dei diritti di base: come succede a tante lavoratrici domestiche anche da noi. Ma non solo vittime: anche storie di successo".

Il successo ha un sesso?
"Promuovendo le donne promuovi l'economia. Dovunque".

Quale resta l'ostacolo più grande?
"La tradizione culturale. Abbiamo invitato questa donna straordinaria, Molly Melching, che in Senegal è riuscita a vincere la battaglia sulle mutilazioni genitali facendo ciò che nessuno aveva osato: andare di villaggio in villaggio a convincere gli imam a unirsi nella lotta. Il punto è sempre quello: cambiare la mentalità dei maschi. Ma va detta anche una verità poco politicamente corretta".

Prego.
"Troppo spesso il problema sono le donne. Prendete la tradizione dei matrimoni forzati in Pakistan: lì sono le mamme, le nonne, le zie, a costringere le bambine".

Ok nei paesi in via di sviluppo: ma in Occidente?
"Sapete quante sono le donne nel Congresso Usa? Il 17 per cento. Ma è ridicolo, questa è l'America, questi sono gli United States!".

Lei è nata in Inghilterra e adesso vive negli Usa: che differenza ha trovato.
"Meno ostacoli. Sì, c'è questa vicenda ridicola della politica ma nel complesso le americane hanno molta più confidenza di sé. Lo vedo ancora una volta nell'educazione di mia figlia: ti inculcano un senso più forte di eguaglianza, la coscienza di poter esprimere sempre la tua opinione".

Per le europee non è così?
"Le inglesi arrivano a un certo punto e poi stop, il ritiro in campagna, la famiglia: addio ogni ambizione. Qui al contrario le donne sentono di avere sempre un altro tempo da giocare. Guardate le nuove 50enni: i figli sistemati e tanta voglia di ricominciare".

Ma non sarà perché anche in America il matrimonio a volte ostacola la carriera?
"Una volta, forse. Ti dedicavi alla famiglia, il tempo passava e ti ritrovavi madre e nonna. Oggi invece anche a una certa età ti si aprono nuove possibilità. Non è eccitante?".

A Newsweek ha moltiplicato le donne in copertina. Non solo dive. La copertina con la presidente del Brasile Dilma Rousseff titolava: "Dove le donne vincono". E' una scelta?
"Certo. E Newsweek era pure uno di quei magazine che chiamavano maschili... Ma è questione dei tempi che vivi: ci sono così tante storie di donne, oggi, che meritano la copertina".

E il vecchio "maschile" diventa "femminile".
"È inevitabile. Voglio dire: il mio caporedattore è donna, il mio capo degli esteri è donna. Pensare che questo è il giornale dove negli anni '60 le giornaliste fecero una class action per poter firmare gli articoli. Curioso, no? Oggi il direttore è donna".

E il primo direttore donna al New York Times?
"Jill Abramson sta cambiando l'idea dei fatti che fanno notizia. Ha portato in prima pagina molte più storie al femminile. E guardate come ha seguito, per esempio, il ruolo delle donne nella Primavera Araba".

Lei invece a Newsweek sta cambiando anche il linguaggio: l'accusano già di pubblicare più parolacce.
"Obiezione. Però il linguaggio non è più quello di 50 anni fa: vogliamo continuare a citare accuratamente o no? Se intervisto un personaggio pubblico e quello dice "culo" e "merda", io tra virgolette lo metto. E a volte la sorpresa sta proprio nello scoprire che a parlare così è il tal...".

C'è differenza tra maschi e femmine anche tra i gusti dei lettori?
"Gli uomini vogliono sapere che cosa succede. Le donne vogliono sapere che cosa succede realmente". Sorride: "Sono più interessate all'aspetto emozionale: a ciò che accade dietro le quinte".

Newsweek s'è schierato con le donne anche nel caso Strauss-Kahn.
"Abbiamo ascoltato la versione della cameriera e preso le sue parti. Poi lui è stato assolto e tutti ci hanno dato addosso. Invece credo che tutto quello che è successo dopo, gli scandali in Francia, dimostri che lei diceva la verità. Ne sentiremo ancora delle belle: troppa fretta di concludere che la donna che denuncia la violenza è una bugiarda".

La moglie, Anne Sinclair, nota giornalista anche lei, ora a capo dell'Huffington Post in Francia, l'ha difeso. Come partner ha fatto bene?
"No. Capisco la lealtà. Ma questo era un uomo fuori controllo. E un conto è mantenere un dignitoso silenzio: un altro comportarsi pubblicamente in modo da dare l'impressione della donna che deve tollerare".

Donne & potere. Meryl Streep ha confessato che quando fu eletta Margaret Thatcher pensò: "Adesso tocca all'America". Sono passati 30 anni: quanto dovrà aspettare?
"C'è un sacco di pressione su Hillary Clinton perché torni a candidarsi nel 2016. Ma ho l'impressione che non lo farà, che pensi di aver già dato, e anche che forse non era ancora il suo tempo. La cosa incredibile è che non c'è nessun'altra in vista. L'unica resta Sarah Palin".

Che accusò Newsweek per una copertina in cui sembrava troppo sexy.
"Le ho chiesto di scrivere un pezzo dopo che Rick Santorum è corso al capezzale della figlia disabile".

Avete fatto pace?
"Anche lei ha una figlia malata, non pensavo avrebbe accettato: ma il suo impegno per i disabili è il suo aspetto più interessante".

Finisce lì?
"In questi giorni esce "Game Change", il film sulla campagna 2008, che la dipinge come una donna completamente al di sotto del suo ruolo. E infatti: l'unica cosa che poteva fare era dare libero sfogo alla sua rabbia populista".

Che peso avranno le donne in queste elezioni?
"I repubblicani stanno facendo di tutto per perderle. È come se avessero dichiarato guerra alle donne. Vanno perfino alla carica della contraccezione: ma se il 99 per cento delle americane usa la contraccezione! Un assalto senza fine alle decisioni private delle donne: disgustoso. Si stanno inimicando perfino le repubblicane".

Come lo spiega.
"Gli uomini, un certo tipo di uomini, hanno paura delle donne: sono spaventati dall'ascesa. E stanno facendo di tutto per controllarne i diritti fondamentali. Siamo alla guerra dei sessi: innescata dalla paura".

Però una donna su cui tutta l'America è d'accordo c'è: Michelle Obama.
"Francamente è come se fosse tenuta ai domiciliari: nel senso che è così attenta a quello che "può" fare che alla fine non fa nulla. Io non penso sia stata una First lady particolarmente incisiva. Sì, è molto popolare: ma proprio perché non ha mai promosso nulla che potesse apparire controverso. Tenetevi in forma, in salute: certo che è una campagna riuscita, ma senza rischio di uscire dal seminato".

Non gioca anche il fattore-razza? Il timore di esporsi troppo...
"Il risultato è questa specie di arresti domiciliari: fai giusto quello che c'è scritto e stop. È una vergogna: perché una donna come Michelle Obama è una tale forza per questo paese".

Per la verità anche le figlie Sasha e Malia sembrano ai domiciliari: niente Facebook, poca tv, niente poster in camera.
"Davvero deprimente. E credo che Michelle stessa sia furiosa per questo: furiosa per questo ruolo che non le piace per niente. D'altronde proprio tenendo questo atteggiamento sta aiutando tantissimo Barack. Per questo credo che in un secondo mandato gli Obama saranno molto più rilassati. E con i repubblicani che si stanno facendo male da soli... Sì, credo proprio che Obama rischi di rivincere a mani basse".

Potere delle donne: anche agli arresti domiciliari.

Fonte: Repubblica.it