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Mercoledì, 05 Settembre 2012 14:49
Ricerca della Fondazione Nord Est: alla recessione si somma la depressione

La depressione è, se possibile, ancor più pericolosa della recessione. Se alle difficoltà oggettive del fare impresa, si somma anche un immaginario collettivo marcato da una visione negativa, allora è urgente un cambiamento. In particolare quando queste percezioni sono riverberate da chi dovrebbe essere ottimista per natura: gli imprenditori.
Purtroppo, in questa fase turbolenta e incerta non è così. Prevale, fra i titolari d'impresa italiani, un sentimento misto di forte preoccupazione e di disillusione, di gran lunga più accentuato di quanto non si fosse registrato all'avvio della crisi fra il 2008 e il 2009. Come se la sua durata stesse fiaccando le speranze e, non vedendo segni tangibili di un'inversione di tendenza, l'incubo del declino stia progressivamente paralizzando le energie.

Bombassei, nella sua intervista a La Stampa (23.7), ha ben paventato quest'animo degli imprenditori. Dialogando con industriali, ristoratori, artigiani alla fine fa sempre capolino la stessa domanda: "Che senso ha lavorare così tanto ed essere (tar)tassati? Dare un (piccolo) aumento ai propri dipendenti e poi ascoltare le loro lamentele perché in busta paga se ne trovano di meno? Qual è il futuro per il nostro Paese?". E il bisogno di dare un senso e una direzione ai sacrifici che si stanno facendo, la necessità di avere un orizzonte e un futuro minimamente definito.
Invece, si vive all'impronta, alla giornata. Quasi di ora in ora, con un clima sempre più convulso e incerto, tanto a livello internazionale, quanto nel nostro Paese. I risultati di una ricerca nazionale sugli imprenditori in Italia (Fondazione Nord Est) ben testimoniano un sentimento marcato da forti aspetti negativi. Le prospettive dell'economia per i prossimi 6 mesi portano saldi pesantemente negativi, sia per quella regionale (-51,2), sia per quella nazionale (-61,6). Ma la novità problematica - in linea con le previsioni del Fmi - viene dalle previsioni su quella internazionale che, per la prima volta dall'inizio del 2000, ha un segno negativo (-33,5). Anche le imprese che hanno una proiezione sui mercati esteri non annusano nulla di buono per il futuro prossimo. Considerato che l'export è l'àncora di salvataggio della nostra economia, è fondamentale quanto prima sostenere efficacemente le nostre pmi sui mercati esteri.
A questo si aggiunge la previsione della durata della crisi. Nel giugno 2011 poco più di un terzo (37,5%) immaginava  un periodo di difficoltà di oltre 1 anno e mezzo. Invece, a un anno di distanza la medesima prospettiva è sostenuta dalla maggioranza: 51,2%. La crisi perde la connotazione di eccezionalità e diviene normalità. L'incertezza è una certezza. Gli imprenditori italiani, anno dopo anno, spostano sempre più in là l'orizzonte della fine del tunnel. Un contesto economico così problematico è accompagnato a (alimentato da?) una forte caduta nella fiducia nelle istituzioni politiche, economiche e della rappresentanza. I segnali nei mesi precedenti (si vedano gli esiti delle elezioni amministrative recenti) appaiono ulteriormente amplificati presso gli imprenditori. Persino il Presidente della Repubblica, che negli anni precedenti era l'unica istituzione politica a ottenere un consenso maggioritario, per la prima volta scende sotto la soglia della sufficienza (44,8%, era al 64,2% nel 2011). Tutte le istituzioni (dall'Ue, alle Associazioni imprenditoriali; dalla Bce alle Regioni) conoscono un crollo. Solo il Governo Monti, rispetto al suo predecessore Berlusconi (13,6% nel 2011), cresce in termini di consensi, ma si ferma al 22,1%.
Nello stesso tempo, però, è possibile individuare, nelle opinioni degli imprenditori italiani, anche alcuni elementi di positività o di minore criticità.
Nonostante un basso grado di fiducia accordato all'Esecutivo, la grande maggioranza degli imprenditori ritiene che non ci fossero alternative alla formazione del Governo Monti (62,2%) e il 14,3% dichiara comunque di condividerne la direzione delle scelte finora realizzate. Il governo dei tecnici, quindi, viene considerato come l'unico in grado di riformare lo Stato. Per questo motivo, un'analoga maggioranza (72,2%) ritiene che dovrebbe proseguire la sua azione fino al termine naturale della legislatura (2013). Ma, nonostante ciò, il 61,9% non vorrebbe che Monti si candidasse come premier alle prossime elezioni.
Se la fiducia nei confronti della UE conosce il suo picco più basso (23,8%), nello stesso tempo la prospettiva di un'uscita dell'Italia dall'euro è rigettata. Certo, l'euro non ha mitigato gli effetti della crisi (62,3%), ma sarebbe controproducente uscire perché sarebbe troppo rischioso (49,6%) e, soprattutto, perché i nostri problemi non dipendono dall'euro (34,4%). Presso gli imprenditori c'è la consapevolezza che un passo indietro dell'Italia rispetto all'euro potrebbe avere effetti esiziali. E dovremmo curare innanzitutto le cause che frenano la nostra crescita.
C'è sicuramente bisogno di costruire fiducia presso gli investitori internazionali, di mettere il nostro Paese al riparo dalle turbolenze e dalle speculazioni finanziarie. Ma c'è anche lo spread della fiducia del Paese in se stesso, cui bisogna dedicare altrettanta attenzione: un maggiore interesse all'economia reale, come anche sottolineato da Monti. Poiché anche la fiducia non si costruisce per decreto, ma con azioni di responsabilità (e non solo da parte dell'Esecutivo), cominciamo con pochi ma veloci segni di discontinuità.
Se il livello di tassazione non potrà scendere, almeno nel breve termine - e neppure aumentare, però – sarebbe già un passo avanti avviare una più decisa semplificazione burocratica e un forte snellimento delle procedure: darebbe un pizzico di fiducia alle imprese e ai cittadini.

Fonte: http://www.modena.legacoop.it/rassegna/2012/07/pressline20120725_339990.pdf